La Scarsità Finanziaria e il suo Effetto sui Processi DecisionaliTempo di lettura stimato: 24 min

di Francesco Meli

In questo articolo:
1. Introduzione
2. Cos’è la scarsità finanziaria?
3. Le conseguenze della scarsità finanziaria sui processi cognitivi e comportamentali
4. Esperimenti e critiche alla teoria della scarsità
5. I programmi e le intuizioni per combattere la scarsità economica

Introduzione

In un periodo storico in cui il divario economico tra ricchi e poveri risulta in forte aumento (Di Basilio, 2020), parlare di povertà e, in particolare, di scarsità finanziaria diventa di grande importanza. Prima di tutto, è importante sottolineare che la povertà non rappresenta semplicemente una mancanza di denaro che impossibilita un individuo all’acquisto di beni o servizi, bensì molto di più. Le condizioni di scarsità economica e di vulnerabilità finanziaria, infatti, possono avere delle conseguenze sul modo di pensare e di agire di un individuo.

L’idea chiave della teoria della scarsità è che la scarsità stessa induce una mentalità specifica in grado di influenzare processi cognitivi e decisionali, e di conseguenza, i comportamenti umani, portando le persone in difficoltà economico-finanziaria a  scelte non ottimali rispetto a coloro che non vivono le stesse difficoltà. Secondo alcuni ricercatori, questi cambiamenti nei processi cognitivi (es. peggioramento dell’intelligenza fluida, i.a. Ong et al., 2019), psicologici (es. motivazione e autoregolazione, i.a. de Bruijn et al., 2022) e comportamentali (es. scelte intertemporali, i.a. Bartos et al. 2018)  generano, dunque, un  circolo vizioso  capace di intrappolare le persone nella loro condizione di povertà e scarsità finanziaria (Mani et al. 2013).

Diversi studi, ad esempio, hanno mostrato che le persone con bassi livelli di reddito sono maggiormente affette dal cosiddetto Present bias, preferendo una ricompensa più piccola nel breve termine piuttosto che attendere per una ricompensa futura più elevata (Carvalho et al. 2016). Ulteriori studi hanno evidenziato che le persone in difficoltà economiche sono più propense a spendere parte del loro reddito in beni che soddisfano bisogni edonici a breve termine ma possono essere dannosi a lungo termine, come tabacco, scommesse ed alcolici (Banerjee e Duflo 2007) e si indebitano eccessivamente ricorrendo a prestiti con tassi di interesse troppo elevati (Skiba e Tobacman 2007).

È evidente già da questi primi esempi che stiamo parlando di una condizione tanto economica quanto psicologica. Ed è qui che entra in gioco l’economia comportamentale con l’obiettivo di sviscerare i processi cognitivi e i modelli di presa di decisione  economica non ottimale che fanno sì che – a lungo termine – la situazione di scarsità finanziaria tenda ad autoalimentarsi. Le fallacie logiche e i bias cognitivi che portano le persone in condizione di scarsità finanziaria a rafforzare piuttosto che contrastare la propria condizione non rappresentano solo un problema a livello individuale, bensì anche collettivo: comprendere e contrastare i comportamenti controproducenti che possono perpetuare la condizione di povertà degli individui, infatti, è un area di grande interesse per coloro che si occupano di elaborazione di politiche ed interventi (ad esempio di literacy finanziaria, es. Lusardi e Mitchell, 2014) per il miglioramento del benessere collettivo (Bertrand et al., 2018). 

A questo punto, diventa lecito chiedersi quali siano le cause di questi comportamenti irrazionali che, in alcuni casi, non fanno altro che peggiorare e perpetuare la condizione di povertà rendendola una vera e propria trappola. Gli economisti, così come gli psicologi, hanno elaborato molti studi e diverse teorie, ma cercheremo di presentare la più recente, promettente e capace di unificare la teoria comportamentale alle decisioni economiche. Stiamo parlando della Scarcity Theory, elaborata da Sendhil Mullainathan e Eldar Shafir, rispettivamente professori di Economia comportamentale e sviluppo economico ad Harvard e di psicologia e affari pubblici a Princeton – nonché autori del libro “Scarcity: Why having too little means so much”.

Cos’è la scarsità finanziaria?

Prima di definire la scarsità finanziaria è importante fare una premessa sulla distinzione tra povertà oggettiva e povertà soggettiva (Hageenars, De Vos 1988). La prima è una condizione che consiste nell’avere dei livelli di reddito al di sotto della media nazionale che varia a seconda dei paesi e del potere d’acquisto. In Europa, ad esempio, le persone che percepiscono meno del 60 percento del reddito medio nazionale sono considerate al di sotto della soglia di povertà. Al contrario, la povertà soggettiva si riferisce alle percezione ed alla sensazione di non avere abbastanza risorse per far fronte ai propri bisogni.

Molte persone, o gruppi sociali, si percepiscono povere nonostante non lo siano oggettivamente. Il fenomeno di povertà soggettiva – data la sua natura completamente svincolata da criteri oggettivi – può essere individuato tramite strumenti auto-riportati e metodi qualitativi. Uno tra questi è l’IEQ, o income evaluation question (Van Praag 2020): un questionario in cui tra le varie domande viene chiesto ai partecipanti quale sia il reddito sufficiente per far fronte alle proprie spese e ai propri bisogni.

Parlando adesso di scarsità finanziaria in senso stretto, essa è stata definita come la condizione di “avere meno di quello di cui si ha bisogno” (Mani et al. 2013). Come è facile intuire, la definizione è molto più vicina al fenomeno di povertà soggettiva piuttosto che a quella oggettiva. Mullainathan e Shafir (2014) hanno definito la scarsità come una sensazione soggettiva causata da situazioni in cui l’individuo possiede risorse insufficienti “per coprire il mutuo, i pagamenti auto, e le spese quotidiane”. Proprio per questo motivo, chiunque può esserne affetto, incluse persone con livelli di reddito decisamente superiori alla soglia di povertà. 

L’aspetto più interessante è che essa può colpire le persone in svariati modi e non soltanto finanziariamente. Un individuo iponutrito può percepire una condizione di scarsità che modificherà i suoi processi decisionali nelle decisioni concernenti la nutrizione (Raden et al. 2012). Allo stesso tempo, un individuo può avvertire una sensazione di scarsità relazionale in caso di rapporti sociali più limitati di quelli di cui sente di aver bisogno. Le risposte psico-emotive a queste condizioni di scarsità non economica sono altrettanto sorprendenti, adattive ed affascinanti.

Ad esempio, studi dimostrano che la percezione di solitudine modifica i processi cognitivi rendendo le persone solitarie più attente alle informazioni ed ai segnali sociali (un costrutto chiamato social monitoring, che indica la consapevolezza dell’individuo delle dinamiche sociali che lo circondano) e più attente e capaci di carpire le espressioni facciali e agli aspetti prosodici degli altri (Gardner et al. 2000).

Un ulteriore esempio di scarsità è quello temporale, capace anch’esso di modificare il modo in cui pensiamo ed agiamo. Ad esempio, durante un test con poco tempo a disposizione, poco prima di una scadenza o quando abbiamo pochissimo tempo per completare un acquisto (Zhao and Tomm, 2017), il nostro processo di presa di decisione tenderà ad essere diverso da quello che avremmo in condizioni di non-scarsità temporale. Come sperimentato in un recente articolo di Scientific Reports (Wu et al. 2022) la condizione di scarsità temporale induce le persone a preferire scelte più sicure e meno rischiose in condizioni di incertezza. Tuttavia, in questo articolo, ci concentreremo soltanto sul fenomeno della scarsità finanziaria, legato alle mere risorse monetarie.

Le conseguenze della scarsità finanziaria sui processi cognitivi e comportamentali

L’idea alla base della Scarcity Theory è che la scarsità finanziaria modifica i processi cognitivi delle persone inducendole a prendere delle decisioni irrazionali e controproducenti. 

Figura 1: Come la scarsità finanziaria agisce sul comportamento e decision-making dell’individuo

Il fenomeno della scarsità finanziaria ha un fortissimo impatto sulla nostra mente, rendendo le persone più attente ai beni che non possiedono ed i loro costi, determinando una sorta di cecità rispetto alle opportunità e alle risorse possedute. Questo fenomeno è chiamato tunnelling effect ed induce le persone a prestare un’eccessiva attenzione alla scarsità delle proprie risorse. Tuttavia, in quanto l’attenzione è una risorsa limitata, la conseguenza negativa è quella di trascurare tutte quelle informazioni utili che permetterebbero di risparmiare denaro o risollevarsi dalle difficoltà economiche. Ad esempio, potrebbe indurre la persona a concentrarsi e rimuginare su tutte le spese legate al mutuo, alle bollette e alle tasse da pagare e, di conseguenza, trascurare il proprio lavoro, il quale gli permetterebbe di procurarsi quelle risorse (Zhao, Tomm 2017; Lichand, Mani 2020) .

In secondo luogo,  lo stress finanziario e la maggiore attenzione causata dal tunnelling effect consumerebbero le risorse mentali dell’individuo peggiorando la memoria e le capacità cognitive. Questo secondo effetto è stato definito dai ricercatori cognitive load.  è stato inoltre mostrato come il cognitive load, causato dal fenomeno di scarsità, ha delle implicazioni negative sull’intelligenza fluida e sul controllo esecutivo dei partecipanti. Questi effetti sono stati studiati in diversi esperimenti  di laboratorio e trasversali (Mani et al. 2013, Carvalho et al. 2016, Ong et al. 2019, Dalton et al. 2019, Fehr et al. 2019). 

I due effetti precedentemente descritti, il tunnelling effect ed il cognitive load, agiscono sul comportamento delle persone in difficoltà economiche spingendole ad assumere delle scelte irrazionali e controproducenti (Mullainathan, Shafir 2013). Ad esempio, sono stati rilevati: indebitamento eccessivo, propensione ad accettare tassi di interesse troppo elevati (Shah et al 2012), present bias (Carvalho et al 2016), maggior avversione al rischio (Haushofer, Fehr 2014), e aumento dell’attualizzazione temporale (Haushofer, Fehr 2019).  

Inoltre, gli studiosi Hilbert, Noordewier e van Dijk (2022) hanno individuato una relazione temporale tra scarsità finanziaria e evitamento finanziario. Tra i comportamenti legati all’evitamento finanziario vi sono i seguenti: evitare di apprendere informazioni, decisioni e non agire secondo i propri obiettivi (Anderson, 2003, 2006; Gigerenzer & Garcia-Retamero, 2017; Golman, Hagmann, & Loewenstein, 2017; Hertwig & Engel, 2016). L’idea principale è che la scarsità finanziaria induce a ruminazione e preoccupazione per le proprie finanze creando la percezione che i propri problemi siano irrisolvibili (Nolen-Hoeksema, Wisco, & Lyubomirsky, 2008). La diretta conseguenza di questa condizione mentale è l’evitamento finanziario, ovvero la tendenza ad evitare di gestire le proprie finanze.

Esperimenti e critiche alla teoria della scarsità

In un recente esperimento, condotto dai ricercatori Jiaying Zhao e Brandon Tomm (2017) è stato dimostrato il rapporto di causalità tra scarsità finanziaria ed attenzione. I due, utilizzando delle tecnologie di eye-tracking, che monitorano i movimenti oculari per determinare cosa si  stia guardando, hanno individuato dei diversi comportamenti a seconda dei livelli di reddito di alcuni studenti. L’esperimento in laboratorio simulava la scelta di un piatto al ristorante con un menù che ne elencava i prezzi. Alcuni studenti erano stati dotati di un budget di $100 ed altri di soli $20. È stato chiesto ai partecipanti di leggere il menù ed ordinare, senza dare ulteriori informazioni.

Figura 2: Distribuzione del tempo dedicato ad osservare il menù. A destra: studenti dotati di 100$, a sinistra: studenti dotati di $20. I colori più intensi e caldi determinano un maggior tempo speso ad osservare (Zhao e Tomm, 2017)

La figura in alto mostra quanto tempo gli studenti hanno dedicato ad osservare ognuno degli elementi. Colori più intensi e caldi indicano un maggior tempo dedicato ad osservare. Nella prima colonna del menù vi era il nome delle pietanze; in quella centrale i prezzi; nell’ultima le calorie ed infine, in basso a destra, risultava uno sconto rivolto a tutti gli studenti che lo richiedessero. I risultati sono stati stravolgenti perché gli studenti con meno risorse spendibili hanno dedicato un maggior tempo a leggere i prezzi piuttosto che tutto il resto, ma allo stesso tempo non hanno prestato attenzione all’offerta in basso a destra, perdendo l’opportunità di accedere allo sconto. La condizione di scarsità li ha condotti a  trascurare un’informazione fondamentale: l’offerta per gli studenti!

In un esperimento paradigmatico, alcuni professori accademici (Mani et al., 2013) hanno sottoposto a test del quoziente intellettivo un gruppo di agricoltori in due periodi diversi dell’anno. Il campione era composto da lavoratori agricoli indiani che tipicamente percepiscono il loro stipendio una volta l’anno, al momento del raccolto. Come intuito dai ricercatori, questi lavoratori potrebbero avere una percezione di povertà poco prima del raccolto ed una sensazione opposta immediatamente dopo. Come mostrato dalla seguente immagine le persone affette dalla scarsità hanno performato peggio in test cognitivi rispetto agli agricoltori che avevano percepito da poco il loro guadagno. I ricercatori hanno attribuito questo peggioramento delle funzioni cognitive allo stress mentale causato dalla sensazione di scarsità dei lavoratori. Dunque, come dimostrato, la povertà è quasi come una tassa cognitiva che svantaggia le persone in questa condizione. 

Prima del raccolto           Dopo il raccolto 

          (Affette da scarsità)           (Non affette da scarsità)

Figura 3: Scarsità finanziaria può consumare le risorse cognitive Fonte: Mani et al. (2013)

Un articolo, pubblicato dalla rinomata rivista scientifica Science e condotto dai professori universitari Shah, Mullainathan e Shafir (2012), mostra come la scarsità induca ad un eccessivo indebitamento. Questa volta è stato condotto un esperimento in laboratorio sfruttando un gioco molto simile al conosciutissimo Angry Birds.

I partecipanti dovevano centrare un bersaglio con dei colpi sparati da una fionda. Alcuni partecipanti, i cosiddetti “poveri”, erano stati dotati di soltanto 30 colpi, mentre i “ricchi” di ben 150. Inoltre, ad alcuni partecipanti era stata data la possibilità di “prendere in prestito” dei colpi aggiuntivi. Le performance dei partecipanti “poveri” erano migliori perché dedicavano una concentrazione maggiore in ciascuno dei colpi. Il tempo medio stimato per ogni colpo era più elevato rispetto ai partecipanti “ricchi”. Tuttavia, quando venivano loro  offerti in prestito dei colpi aggiuntivi, anche a costi elevati, i partecipanti poveri erano maggiormente inclini ad accettarli rispetto ai partecipanti ricchi. Questo eccessivo indebitamento di colpi da sparare era stato controproducente in termini di risultati. Infatti, lo sforzo mentale e lo stress legato all’indebitamento ed alla scarsità avevano peggiorato le performance dei giocatori.

Nonostante si trattasse soltanto di un gioco, l’esperimento simulava una situazione di vita reale, ed i risultati hanno mostrato un forte legame tra scarsità, concentrazione, capacità cognitive ed eccessivo indebitamento. Un legame che in un semplice gioco potrebbe non avere gravi conseguenze, ma nella vita reale causare molta sofferenza e disagio. 

Tuttavia, la Scarcity theory non è esente da critiche. I ricercatori De Bruijn e Antonides (2022) hanno osservato delle discrepanze tra la definizione di  scarsità proposta dalla Scarsity Theory e gli strumenti utilizzati negli studi empirici. Infatti, la maggior parte degli esperimenti hanno utilizzato il livello dei redditi come misura di scarsità.

Come già discusso in precedenza, la definizione scarsità finanziaria si lega maggiormente al concetto di povertà soggettiva, mentre salario e livello dei redditi sono variabili meramente oggettive. Inoltre, l’evidenza empirica è mista ed i risultati sembrano differire tra loro. In diversi esperimenti non sono state rilevate differenze significative o robuste nelle abilità cognitive tra le persone affette da scarsità e non (Carvalho et al. 2016; Shah et al 2019; Dalton et al 2019; Fehr et al. 2019). Per queste ragioni, la Scarcity theory è ancora considerata incompleta da un punto di vista empirico e teorico nonostante venga considerata una teoria molto promettente (De Bruijn, Antonides 2022).  

I programmi e le intuizioni per combattere la scarsità economica

In molti paesi in via di sviluppo esistono innumerevoli programmi rivolti a cittadini indigenti. Nonostante l’esistenza di questi programmi, moltissimi cittadini non si iscrivono o non completano la procedura di iscrizione, pur provandoci.

Secondo l’economia comportamentale, in particolar modo la teoria che abbiamo già presentato, si tratta di programmi che necessitano di sforzi mentali e temporali a causa della complessità delle procedure. Come abbiamo visto, la povertà è una condizione che rende difficili (o fa percepire come più difficili) anche delle decisioni semplici. I processi di iscrizione a questi programmi di sostegno, nonostante offrano un significativo contributo per uscire da una evidente situazione di indigenza, rappresentano una serie di sforzo mentale che – in condizione di scarsità economica – vengono valutati come troppo costosi nonostante i benefici che se ne potrebbero trarre.  È chiaro come questi comportamenti possano, addirittura, avere un ruolo nel rafforzare la condizione di povertà, rendendo sempre più difficile uscirne. Si tratta, come abbiamo già detto, di un vero e proprio circolo vizioso.

Una volta individuato il problema ed aver intuito come esso agisce sui processi decisionali delle persone in condizioni di scarsità economica,  ricercatori, economisti e psicologi, hanno suggerito alcune politiche da adottare. L’obiettivo è, dunque, quello di ridurre le conseguenze che la scarsità si porta dietro: come non iscriversi ad un programma che potrebbe aiutare una persona indigente, consumare inefficientemente l’energia elettrica oppure spendere troppo in cibi ipercalorici e dannosi per la salute.  In questa sezione mostreremo due studi condotti per ridurre questo fardello rappresentato dalla scarsità.

Il primo studio è stato condotto in Marocco nel 2007. I ricercatori Devoto e Duflo (2012) hanno rilevato un problema: soltanto il 10 percento dei poveri si era iscritto ad un programma di sostegno. Questo programma permetteva di migliorare il sistema idrico aumentando le connessioni dell’acqua e migliorandone la sanificazione. Tuttavia, era necessaria una lenta e complessa procedura di iscrizione.  Per ridurre il problema, ad alcune famiglie era stata offerta assistenza nell’iscrizione. Ad alcuni di essi, infatti, erano state semplificate le procedure di applicazione spedendo i fogli già stampati e pre compilati direttamente a casa. Facilitando il processo burocratico, le iscrizioni ai programmi erano aumentate sino al 67 percento. I ricercatori, oltre ad aiutare delle famiglie in difficoltà economiche, hanno dimostrato come semplificare le procedure – senza spese eccessive da sostenere – possa migliorare la loro qualità di vita.

Infine, il secondo studio è stato condotto in California dalla ricercatrice Aizer (2007). In questo caso, la ricercatrice ha dimostrato come fornire assistenza nella procedura di iscrizione a programmi di assicurazione sanitaria aumentava in media di circa il 20 percento le iscrizioni. 

Come mostrato dai precedenti studi le difficoltà finanziarie inducono i cittadini a comportamenti finanziari non ottimali. Per contrastare questo problema i ricercatori de Bruijn, Antonides e Madern (2022) hanno suggerito l’introduzione di un programma di educazione finanziaria che contenesse al suo interno delle intuizioni in grado di unire la teoria comportamentale e motivazionale. Nel loro esperimento, gli autori confrontano l’efficacia di un programma comportamentale – definito appunto behaviorally informed – con un programma tradizionale di educazione finanziaria. Le caratteristiche di un programma behaviorally informed sono – come suggerisce il nome – sviluppate in base ai risultati di precedenti studi comportamentali e presi in prestito dalla psicologia, in particolare quella legata alla motivazione all’apprendimento.

Ad esempio, piuttosto che un semplice ruolo di mediatore di informazioni (come invece avviene nella condizione tradizionale), in un programma behaviorally informed il formatore assume un ruolo molto più attivo come “promotore di cambiamento comportamentale”, con l’obiettivo di aumentare la motivazione all’attuazione di tale cambiamento comportamentale facendo leva su alcuni punti cardine della teoria dell’autodeterminazione (Kusurkar et al., 2021). Questo al fine di favorire un insegnamento che faccia sentire i partecipanti autonomi, competenti nell’apprendimento e supportati dai loro pari e dai formatori stessi, piuttosto che dei semplici fruitori di un contenuto educativo tramite una didattica unidirezionale. Inoltre, i partecipanti nella condizione behaviorally informed potevano scegliere gli argomenti da affrontare nelle sessioni di formazione e i compiti da svolgere, aumentando quindi la motivazione intrinseca e l’autonomia percepita (Ryan e Deci, 2000a,b e Kusurkar et al. 2011).

Nello studio, gli autori non sono però riusciti a trovare un miglioramento significativo per quanto riguarda il benessere finanziario effettivo dei partecipanti esposti alla condizione behaviorally informed, né un effettivo miglioramento della loro situazione finanziariaL’indice di benessere finanziario effettivo comprendeva, tra altre cose, domande relative ad alcuni aspetti molto pratici legati alla situazione finanziaria del nucleo familiare dell’intervistato, come ad esempio “per quanto tempo la il tuo nucleo familiare potrebbe ancora permettersi di pagare spese variabili e fisse se la vostra principale fonte di reddito dovesse venire improvvisamente a mancare?” (Misura definita dall’OCSE, 2015).

Gli autori hanno però trovato un effetto positivo molto robusto su molte altre variabili indagate che – pur non essendo indicatori di un benessere finanziario effettivo ed immediato – possono essere una sua determinante nel lungo termine. I partecipanti nella condizione behaviorally informed, infatti, mostravano migliori capacità finanziarie, migliori conoscenza finanziaria e anche un comportamento finanziario auto-riportato più virtuoso. Quest’ultima variabile, ovviamente, come avviene per tutte le misure auto-riportate o self report non è completamente affidabile in quanto soffre di una serie di bias – come ad esempio quello della desiderabilità sociale – che potrebbe aver inficiato i risultati. I partecipanti, infatti, erano liberi di affermare di aver adottato un comportamento che sapevano sarebbe apparso “virtuoso” agli occhi degli esaminatori, pur non avendolo effettivamente adottato.

Possiamo prendere questo risultato come una parziale vittoria? Forse. Infatti, seppur l’effetto dovesse essere legato ad una volontà dei partecipanti nella condizione behaviorally informed di apparire come più virtuosi agli occhi dei trainer e degli esaminatori, questo dimostrerebbe indirettamente che – rispetto alla situazione di partenza e rispetto a coloro esposti allo scenario di controllo – i partecipanti esposti al  programma comportamentale hanno effettivamente sviluppato la capacità critica di riconoscere un comportamento finanziariamente virtuoso da uno non ottimale.  Inoltre, bisogna notare che lo studio ha coperto un periodo di tempo di soli sei mesi: potrebbe essere necessario un periodo molto più lungo affinché le determinanti del benessere finanziario si traducono in benessere effettivo. 

Un altro dato molto interessante da osservare è quello legato alla partecipazione e alla retention. Nonostante i notevoli sforzi attraverso un massiccio reclutamento di partecipanti via email marketing e pubblicità – moltissime persone non hanno neppure partecipato all’esperimento o lo hanno abbandonato in corso d’opera. Oltre all’ovvia conclusione che sia necessaria ancora tantissima ricerca per individuare degli interventi comportamentali efficaci per contrastare la scarsità finanziaria e agire sui comportamenti degli individui (non solo sulla loro literacy finanziaria), gli alti tassi di abbandono ci danno un’ulteriore conferma sulla forte resistenza e cecità che gli individui hanno nei confronti degli interventi che potrebbero aiutarli ad uscire da una condizione svantaggiosa o precaria. Inerzia che, come abbiamo già detto, non fa che rafforzare e prolungare la condizione di literacy e – di conseguenza – di scarsità finanziaria.

Un fallimento delle politiche behaviorally informed? Non proprio. L’approccio sperimentale permette all’evidence-based policy making  di essere efficace proprio perché l’avanzamento e l’implementazione di un programma dipendono dai risultati in ambiti controllati e sperimentali reiterati e longitudinali: un piccolo passo verso la direzione desiderata, seppur non conclusivo, permette di testare, esplorare e migliorare nuove possibilità, escludendone altre rivelatesi inefficaci. 

La condizione di scarsità finanziaria è quindi molto complessa da comprendere e questa comprensione approfondita del fenomeno è fondamentale affinché vengano adottati interventi efficaci, con risvolti positivi non solo sul benessere degli individui ma anche sulla società nel suo insieme. La ricerca accademica e i policy-maker continuano ad unire le forze su questo tema di ricerca e il recente focus sui meccanismi cognitivi dietro la condizione di scarsità hanno nutrito la consapevolezza che non si tratta di un problema puramente socio-economico, bensì anche psicologico che – in quanto tale – può avvalersi di metodi, strumenti e indicazioni di intervento proprio grazie alle scienze comportamentali. 

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L’autore

Francesco Meli è laureato in Economia Comportamentale all’Università degli studi di Trento dove ha conseguito un titolo di doppia laurea insieme all’Università Friedrich-Schiller di Jena in Economia Sperimentale e Quantitativa. Ha conseguito una laurea triennale in Management a Pavia dove ha discusso una tesi sulla mobilità condivisa. Dice di sé: “sono curioso, intraprendente ed eclettico e ho una profonda passione per il cinema, la natura e la musica rock”. 

1 commento

  • Interessante e anche molto ampio. Mi chiedo se nell’era dei social la povertà soggettiva oggi sia aumentata e in generale anche i comportamenti controproducenti. Una vecchia classificazione di marketing, poco usata in Italia, definiva contadini coloro che erano molto attenti a spender solo per ciò che aveva un valore funzionale, poi c’erano gli originali che cercano sempre il nuovo e diverso per distinguersi. E un’altra categoria, non ricordo il nome, che spendeva per allinearsi. I contadini erano la categoria predominante vari decenni fa, oggi prevalgono nettamente le ultime due. Eppure i contadini erano quelli che pur in maggiori ristrettezza effettuavano scelte più oculate dando più peso alle cose che servivano. Mi sono spiegato un po’ male ma spero si capisca.

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