È una fresca mattina di primavera, state camminando sul marciapiede di un viale della vostra cittadina e un uomo brizzolato, sulla cinquantina, con una ventiquattrore in una mano e un quotidiano arrotolato nell’altra, passa accanto a voi e nell’incrociare il suo sguardo notate che accenna un sorriso.
Qual è la vostra reazione?
Che ve ne rendiate conto o no, probabilmente contraccambierete il suo sorriso.
Quando qualcuno ci sorride, la reazione naturale è quella di ricambiare il sorriso per allinearci all’emozione dell’altra persona. Si tratta di qualcosa del tutto naturale e istintivo: gli esseri umani (e secondo uno studio pubblicato su Nature Scientific Reports anche i gelada, una tipologia di scimmia etiope) tendono ad allinearsi agli stati emotivi che percepiscono durante le interazioni.
A cosa è dovuto tutto questo? Ad un fenomeno definito “contagio emotivo”.
Di cosa parleremo:
1. Definizione di contagio emotivo
2. Siamo tutti (emotivamente) contagiati, o quasi
3. Le tre proposizioni del contagio emotivo di hatfield
4. L’effetto a catena: il contagio emotivo nei gruppi di lavoro
5. Il contagio emotivo e i social network
6. Intelligenza artificiale e contagio emotivo
7. Contagio emotivo e decision-making
8. Conclusioni
Definizioni di contagio emotivo
Descritto da Elaine Hatfield e colleghi (1993) come la tendenza a mimare e sincronizzare automaticamente espressioni, vocalizzazioni, posture e movimenti con quelli di un’altra persona e, di conseguenza, a convergere emotivamente, il contagio emotivo è un fenomeno per cui il comportamento osservato di un individuo porta alla produzione riflessa dello stesso comportamento da parte di altri (Panksepp & Lahvis, 2011). Una definizione più ampia ci viene data da Schoenewolf (1990), per il quale si tratta di un processo in cui una persona o un gruppo influenza le emozioni o il comportamento di un’altra persona o di un gruppo attraverso l’induzione conscia o inconscia di stati emotivi e atteggiamenti comportamentali.
Il contagio emotivo non è altro che la capacità automatica di fare proprie le emozioni altrui e di viverle intensamente: l’individuo come osservatore diventa protagonista dello stato mentale dell’altro, è stimolato dalle sue emozioni, sopraffatto dalla sua intensità. Questo meccanismo automatico di tipo bottom-up, ovvero di elaborazione delle informazioni “dal basso”, tipico dell’infanzia, può essere considerato un precursore delle relazioni empatiche, derivanti dalla tendenza naturale e inconscia a identificarsi con i gesti, i movimenti e le espressioni degli altri (Lacerenza & Cerami, 2010).
Sebbene una prima definizione ufficiale di contagio emotivo sia arrivata ben più tardi, già Adam Smith nel 1759 affermava che le persone si immaginano nelle situazioni altrui e mostrano una “mimica motoria” e Darwin, nel 1872, ipotizzava l’esistenza di una propensione naturale e innata degli esseri umani a riconoscere e rispondere automaticamente in modo congruente alle emozioni dell’altro (Meneghini, 2010).
Il contagio emotivo è stato considerato come strettamente associato all’eccitazione emotiva e gran parte della letteratura sul contagio emotivo si basa sulla teoria dell’arousal, per la quale nell’organismo c’è sempre uno stato di eccitazione fisiologica, più basso durante il sonno e più alto durante la vigilanza; il passaggio dall’attivazione di basso livello alla vigilanza è chiamato eccitazione e corrisponde allo stato emotivo. Inoltre, storicamente, il contagio emotivo è stato collegato anche all’empatia, pur differenziandosene (Herrando, & Constantinides, 2021).
Il contagio emotivo è distinto dall’empatia perché, a differenza dell’empatia, non si è consapevoli che un’emozione percepita derivi da un’emozione osservata, non sono coinvolti processi cognitivi e l’attenzione è rivolta al sé piuttosto che all’ “altro”, cosa che invece accade, al contrario, in una risposta empatica, la quale comporta la capacità di sperimentare ciò che gli altri provano e di attribuire queste stesse esperienze agli altri e non a sé stessi. Nella sua componente emotiva, l’empatia appare strettamente correlata al funzionamento dei neuroni specchio (Lacerenza & Cerami, 2010), i quali possono assumere un ruolo fondamentale anche nel contagio emotivo, attivando nel nostro cervello gli stessi circuiti cerebrali della persona che sta manifestando le proprie emozioni.
Ricordiamo, in questa sede, quanto proprio la mimica facciale, ovvero una risposta, rapida, involontaria e automatica in cui un individuo imita l’espressione di un altro individuo, dal punto di vista neurofisiologico, si fondi sul sistema dei neuroni specchio della corteccia parietale e premotoria, che si attivano sia quando un individuo esegue un’azione sia quando osserva quell’azione eseguita da un suo simile (Le Scienze, 2013).
Siamo tutti (emotivamente) contagiati, o quasi
Il contagio emotivo, basandosi su reazioni automatiche agli stimoli espressivi manifestati “dall’altro”, rappresenta un primo livello di condivisione emotiva che non può essere ignorato. Non sorprende, pertanto, che si tratti di un meccanismo universale, valido in tutte le culture del mondo.
Da una prospettiva evolutiva, il contagio emotivo, e quindi la tendenza a rispondere alle espressioni emotive dei propri simili in modo riflessivo, automatico e involontario, può essere dovuta al suo alto valore adattivo in situazioni specifiche. Pensate alla paura: lo sguardo impaurito su un volto e la sua risposta comportamentale di fuga ci segnalano un pericolo imminente in modo rapido e chiaro, concedendo un tempo simile per reagire alla minaccia. O ancora pensate ai rituali – e qui torniamo ad un tema a noi molto caro che potete approfondire qui –, che hanno proprio la funzione di facilitare la comunione emotiva tra i partecipanti (Meneghini, 2010).
A questo punto una domanda sorge spontanea. Siamo tutti in grado di essere “contagiati emotivamente” allo stesso modo?
La risposta a questa domanda è no. Anche gli stati psicopatologici possono influenzare la nostra sensibilità al contagio emotivo, come avviene nel caso della depressione (Goodin et al., 2019). Sebbene i risultati a riguardo siano ancora contraddittori, la depressione sembrerebbe ridurre la capacità di interpretare le emozioni nei volti altrui, andando ad intaccare non tanto la sensibilità al contagio emotivo, quanto la sua qualità – in particolare nelle community online. Inoltre le persone più sensibili e maggiormente predisposte all’empatia sono più soggette ad assorbire gli stati d’animo degli altri e sarebbero pertanto – com’è facile intuire – maggiormente esposte ad un contagio emotivo.
Il grado di contagio potrebbe anche essere influenzato da fattori quali, ad esempio, la personalità.
Le persone più estroverse sembrano avere maggiori probabilità di essere influenzate dalle emozioni degli altri, mentre coloro che hanno un alto livello di nevroticismo hanno maggiori probabilità di essere influenzati soprattutto da emozioni negative. Non è escluso, poi, che altre differenze individuali come l’età, il genere e la cultura influenzino il grado di contagio, specialmente online (Goldenberg & Gross, 2020).

Le tre proposizioni del contagio emotivo di Hatfield
Sebbene non sia sempre stato così, oggi, la maggior parte degli psicologi sociali, dei neuroscienziati e dei primatologi ritiene che il contagio emotivo sia un processo piuttosto primitivo, che avviene al di fuori della consapevolezza cosciente. Hatfield e colleghi (2008) hanno identificato tre proposizioni che ben riassumono il processo del contagio emotivo:
1: Durante una conversazione, le persone imitano e sincronizzano automaticamente e continuamente le loro espressioni facciali, la voce, le posture, i movimenti e i comportamenti strumentali con quelli degli altri.
2: L’esperienza emotiva soggettiva è influenzata in ogni momento dal feedback di questa mimica/sincronia che innesca l’attivazione di specifiche categorie emotive, che a loro volta influenzano specifici processi emotivi.
3: Le persone tendono, in ogni momento, a “cogliere” le emozioni degli altri. Si tratta di un processo di natura sociale che porta gli individui a usare le emozioni degli altri come guida per le proprie valutazioni emotive.
Gli studi di Hatfield e colleghi si basano sui risultati delle ricerche degli psicofisiologi sociali che hanno scoperto che la mimica facciale può essere istantanea e che le espressioni facciali delle persone, misurate con procedure elettromiografiche, tendono a riflettere, almeno a livello rudimentale, i cambiamenti nell’espressione emotiva delle persone che stanno osservando.
Ma questo modello di imitazione, osservano gli studiosi, non si limita alle sole espressioni facciali (Nickerson, 2021). Attraverso misure comportamentali, alcuni ricercatori hanno scoperto che le persone possono essere contagiate emotivamente anche in modo vicario, ossia osservando l’esperienza di un’altra persona. Kramer e colleghi (2014), in particolare, ritengono che il contagio emotivo possa avvenire anche in assenza di un volto, ad esempio, durante le interazioni online, come la lettura di recensioni e l’osservazione del comportamento di altre persone sui social network.
Se siete in procinto di prenotare una vacanza o acquistare un prodotto sappiate che in un esperimento sui social media (e.g. Wakefield e Wakefield, 2018) è stato scoperto che, quando le persone leggono recensioni negative di prodotti o esperienze di clienti, tendono a provare maggiori livelli di ansia, apprensione e nervosismo. Tali reazioni, solitamente di natura cognitiva, comportamentale o fisiologica, possono poi continuare a manifestarsi anche quando non si è più online e avere ripercussioni anche nella vita offline.
Per cui solo recensioni positive per voi oggi! Scherzi a parte, al di là del doveroso confronto tra pro e contro e dall’indubbia utilità di conoscere le esperienze di altri acquirenti, dovevamo mettervi in guardia. E dobbiamo altrettanto sottolineare che lo scambio di emozioni online – specialmente la rabbia – porta anche a dei benefici, ad esempio ad un aumento del numero e delle dimensioni dei movimenti sociali volti al miglioramento delle condizioni di alcune categorie di soggetti (Goldenberg & Gross, 2020). Una cosa è certa: la natura e le dimensioni del mondo digitale, che permette di essere esposti a contenuti creati e condivisi anche da chi è lontano dal nostro network, amplia sicuramente la possibilità di contagio emotivo, ma una maggior esposizione può anche contribuire all’abituazione e all’adattamento, che possono fungere da contrappeso, riducendo così il contagio emotivo (Goldenberg & Gross, 2020).
L’effetto a catena: il contagio emotivo nei gruppi di lavoro
Il trasferimento degli stati d’animo e la sua influenza nelle dinamiche dei gruppi di lavoro sono stati studiati ampiamente anche nel contesto organizzativo.
Sono diversi gli studi sul processo decisionale manageriale in cui, grazie a un soggetto appositamente istruito per veicolare specifici stati d’animo, è stato riscontrato un contagio emotivo tra i membri del gruppo in termini di umore, atteggiamenti individuali, ma anche di comportamento e di dinamiche a livello di gruppo.
Il contagio emozionale positivo tra i membri del gruppo può generare terreno fertile per una migliore cooperazione, un minor numero di conflitti e un miglioramento della performance percepita (Barsade, 2002). Al contrario, non mancano gli studi che evidenzino come il contagio emotivo di emozioni negative abbia ripercussioni poco felici come rabbia, ma anche più errori cognitivi e incidenti sul lavoro (Petitta et al., 2019).
Il contagio emotivo e i social network
Il contagio emotivo può essere una strategia molto efficace e attraente nella comunicazione e nella pubblicità. La comprensione dei meccanismi alla base del contagio emotivo può infatti aiutare i marketer a migliorare i loro approcci commerciali o a svilupparne di migliori (Herrando & Constantinides, 2021).

Non sorprende che ad aver approfittato al meglio della ricerca sulle emozioni e sul contagio emotivo negli ultimi decenni, dando vita a quella che viene oggi definita “ingegneria emotiva“, è sicuramente l’industria pubblicitaria, che ha utilizzato la ricerca sulle emozioni per tessere narrazioni avvincenti e memorabili e per creare associazioni positive con i brand. Che ci piaccia o no, chi si occupa di comunicazione e pubblicità ha oggi a disposizione delle leve potentissime per confezionare emozioni positive o negative da veicolare a specifici gruppi target (Nickerson, 2021).
Sebbene ci sia pochissimo consenso in letteratura su quale tipo di emozioni porti a un contagio più forte, e non manchino gli studi che dimostrano una magnitudo simile sia per le emozioni positive che quelle negative o che addirittura evidenziano quanto le emozioni positive siano più soggette al contagio (Goldenberg & Gross, 2020), sono diversi gli studi che evidenziano la temibilità della diffusione di emozioni negative.
Secondo Pinilla e colleghi (2020) contagio emotivo non è un processo sempre lineare e che gli stati affettivi negativi sembrano avere un impatto più forte sulle emozioni negative rispetto a quelle positive, a conferma dell’ormai già noto negativity bias, che spiega la nostra propensione a prestare attenzione, imparare e utilizzare le informazioni negative molto più di quelle positive. Lo studio ha infatti dimostrato che le emozioni negative sembrano propagarsi più di quelle positive e gli stati affettivi altrui sono percepiti in modo più negativo quando anche l’osservatore si trova in uno stato affettivo negativo. Ciò a conferma che il contagio emotivo è massimo quando una persona, in uno stato affettivo già negativo, osserva qualcuno in uno stato affettivo simile.
I risultati di questo studio sono molto interessanti e rappresentano un campanellino d’allarme che ci aiuta a comprendere meglio certi episodi storici nemmeno troppo lontani. Ricordate il ruolo dei media nel generare e diffondere emotività (in alcuni casi forse troppa) durante la pandemia?
Lo studio di Kramer e colleghi (2014) è stato tra i primi a studiare il fenomeno su larga scala (parliamo di un esperimento su circa 689.000 soggetti) su un social network: Facebook. Nell’esperimento è stata manipolata la misura in cui le persone sono state esposte a post emotivi nel loro feed di notizie. L’obiettivo era di verificare se l’esposizione alle emozioni portasse le persone a modificare i propri comportamenti di pubblicazione, in particolare se l’esposizione a contenuti emotivi inducesse le persone a postare contenuti coerenti con l’esposizione.
I risultati hanno evidenziato che le emozioni espresse da altri su Facebook influenzano (e come!) le nostre emozioni, costituendo la prima grande prova sperimentale del contagio su larga scala attraverso i social network. Questo studio è importante per vari motivi: è stato il primo a dimostrare che I) il contagio emotivo può avvenire anche attraverso la comunicazione mediata dal computer (computer-mediated communication); II) che la condivisione di post emotivi su Facebook predice la condivisione di post dalla stessa valenza anche da parte dei propri amici, e anche a distanza di giorni; III) l’interazione diretta tra persone non è strettamente necessaria per generare contagio emotivo, è sufficiente osservare il post pubblicato da un amico che esprime un’emozione.
Comprenderete bene la portata di questa scoperta, alla luce del fatto che i contenuti che vengono mostrati -oppure vengono omessi- nel news feed del social network sono determinati da un algoritmo di classificazione che ha come obiettivo, tra gli altri, quello di mostrare agli spettatori i contenuti più rilevanti e coinvolgenti attraverso il microtargeting comportamentale. Non tratteremo del triste episodio di Cambridge Analytica, ma capite bene quale può essere la portata di un’azione del genere in termini di contagio emotivo.
Per cui sì, il rischio è che il nostro stato d’animo quotidiano possa essere dettato da un algoritmo!
Intelligenza artificiale e contagio emotivo
L’analisi della letteratura mostra che la ricerca accademica sul contagio emozionale si è concentrata principalmente sull’interazione umana per comprendere la sincronia comportamentale che risulta dal contagio emotivo. Con l’inclusione di strumenti basati sull’ intelligenza artificiale, come i robot o gli assistenti vocali e testuali per facilitare le interazioni, non sembrano lontani i tempi in cui si affronterà la questione del contagio emotivo anche da una prospettiva uomo-robot (Herrando & Constantinides, 2021).
Date le premesse e i risultati delle ricerche svolte finora, è plausibile ritenere che le IA sono e saranno sempre più in grado di influenzarci al pari di altri esseri umani e, in alcuni casi, anche di più. Mi riferisco all’applicazione della robotica nel campo della disabilità, in particolare nello stimolare le abilità deficitarie nella Sindrome dello Spettro Autistico. I cosiddetti “robot sociali” possono infatti aiutare a stabilire la comunicazione con i bambini con autismo, facilitare l’attenzione e il contatto visivo e implementare nuovi comportamenti sociali (Pierno et al., 2008).
Contagio emotivo e decision making
Neppure i processi di decision making sembrano essere immuni dal contagio emotivo. I risultati di alcuni studi sperimentali dimostrano che la convergenza delle emozioni interpersonali può dipendere da processi di valutazione sociale che spesso comportano un contagio emotivo. Ricercatori e ricercatrici hanno individuato prove a sostegno del fatto che le emozioni negative percepite dal decision maker possono essere fortemente influenzate (e quindi anche incrementate) dalle emozioni negative esperite da un’altra persona presente durante il processo decisionale.
Una ricerca molto interessante su questo tema è quella di Parkinson e Simons (2009) in cui gli autori hanno indagato il trasferimento delle emozioni in 41 soggetti coinvolti in processi decisionali nell’arco di tre settimane. Le decisioni riguardavano aspetti finanziari (scegliere se abbandonare un piano pensionistico), emotivi (se affrontare la propria amica per parlare del suo comportamento aggressivo) e fisici (se provare a dimagrire con l’aiuto di pillole consigliate da amici).
Lo studio conferma come l’ansia e l’agitazione da parte del decision maker siano influenzate dall’ansia e dall’agitazione mostrata da altre persone coinvolte nel processo decisionale. Non solo. Lo studio ha individuato anche due possibili mediatori di questa relazione: il rischio e l’importanza della decisione, e ha evidenziato come le emozioni dei partecipanti sono influenzate non solo dalle emozioni simultanee dell’altra persona, ma anche dalle emozioni che l’altra persona ha sperimentato in un momento precedente.
Sembra, inoltre, che l’ansia di una persona vicina possa renderci più sensibili ai rischi che abbiamo di fronte: il rischio che l’altra persona possa diventare ancora più ansiosa a causa delle nostre decisioni sembra avere ripercussioni non solo sul nostro stato mentale ma anche nelle scelte decisionali.
Conclusioni
Al di là dei rischi sicuramente non trascurabili di un’esposizione poco controllata a contenuti che possono influire sul nostro stato d’animo e arrivare in qualche modo a manipolarci, non dobbiamo dimenticare che siamo esposti al contagio emotivo ogni volta che ci troviamo in compagnia di qualcuno o di un gruppo di persone e soprattutto che noi stessi, con il nostro atteggiamento e il nostro comportamento possiamo influenzare l’altro. Il modo in cui ci comportiamo e le emozioni che percepiamo e che condividiamo si riflettono nelle nostre relazioni e in quelle delle persone a noi vicine.
Bibliografia
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Goldenberg, A., & Gross, J. J. (2020). Digital emotion contagion. Trends in Cognitive Sciences, 24(4), 316-328.
Hatfield, E., Cacioppo, J. T., & Rapson, R. L. (1993). Emotional contagion. Current directions in psychological science, 2(3), 96-100.
Hatfield, E., Rapson, R. L., and Le, Y. L. (2008). Emotional contagion and empathy. In J. Decety and W. Ickes (Eds.) The social neuroscience of empathy. Boston, MA: MIT Press.
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Mancini, G., Ferrari, P. F., & Palagi, E. (2013). Rapid facial mimicry in geladas. Scientific reports, 3(1), 1-6.
Meneghini, A. M. (2010). Sentire e condividere: componenti psicologiche e correlati biologici dell’empatia. Seid.
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L’Autrice

Roberta De Cicco, editor e contributor del blog economiacomportamentale.it, ha un dottorato di ricerca in Business & Behavioural Sciences. Si occupa di ricerca nell’ambito del marketing conversazionale e dell’influencer marketing ed è docente del corso marketing automation presso la Católica Porto Business School.