“Bugie” di Sam Harris. Un approccio radicale all’onestàTempo di lettura stimato: 24 min

di Sara Ferracci

“Non si giudica un libro dalla copertina”, è una frase che si sente dire spesso, ma qui ci occupiamo principalmente di Economia Comportamentale e abbiamo imparato che diversi elementi – che possono riguardare anche la copertina di un libro – dal font, ai colori, alle immagini, riescono ad attirare la nostra attenzione. E direi che, se ci troviamo in una libreria piena di libri e con una vastissima possibilità di scelta, questi elementi diventano ancora più importanti. 

Ecco, il libro “Bugie”, edito da ROI Edizioni e scritto dal filosofo Sam Harris, mi ha colpito, prima ancora che dal brillante contenuto, da un elemento presente nella copertina, che credo riassuma perfettamente ed in un’unica piccola (e apparentemente insignificante) immagine, tutti i concetti espressi dall’autore. Si tratta di un amo da pesca, che qualche sagace grafico ha sostituito alla “G” del titolo.

Copertina del libro “Bugie”. Fonte ROI Edizioni

Sì, perché questo sono in fondo le bugie, delle piccole trappole cui spesso abbocchiamo ingenuamente e di cui ci rendiamo conto (forse) solo dopo. 

Le bugie rappresentano anche una sorta di tentazione, che ci impedisce di essere onesti fino in fondo con chi ci sta accanto. E allora cerchiamo anche noi di partire dalla domanda che ha dato il via a tutte le riflessioni contenute nel volume: mentire è sbagliato?

So quale risposta vi è subito balenata alla mente, perché è quello che ho pensato anche io non appena l’ho letta, nero su bianco: sì! Mentire è profondamente sbagliato. 

Ma aspettate, cosa mi dite allora delle cosiddette “bugie bianche”? Quelle mezze verità che diciamo per non ferire qualcuno? O ancora, che mi dite di quelle “bugie estreme”, quelle che vengono dette, ad esempio, per salvaguardare un malato terminale dal suo inevitabile destino? Siete ancora convinti che mentire sia così sbagliato?

Sam Harris lo è. L’autore propone infatti un approccio estremamente radicale (e da molti punti di vista rivoluzionario) all’onestà.

Cos’è una bugia?

Direi innanzitutto di partire allora dalle cose che crediamo di sapere, ma che, a questo punto, forse non sono più così tanto chiare.

Che cos’è esattamente una bugia?

Sì, perché, se vogliamo addentrarci in questo argomento, dobbiamo darne una definizione quanto più chiara e netta possibile. Il concetto di bugia, che potrebbe sembrare ovvio in un primo momento, comprende in realtà nel nostro immaginario diverse forme di inganno. Pensiamo, ad esempio, alla più classica domanda che sentiamo pórci (e che a nostra volta poniamo) numerose volte al giorno: «come stai?».

Ecco questa, più che una domanda che sottende un reale interessamento, è ormai diventata, per convenzione, quasi una forma di saluto, a cui nessuno (o quasi nessuno) è disposto a rispondere con sincerità. La maggior parte di noi risponde semplicemente «bene».

Ma cos’altro potremmo fare? Metterci a raccontare le nostre delusioni sentimentali o fallimenti sul lavoro al conoscente che ci ha appena posto questa domanda nel reparto surgelati del supermercato? Eppure, quel semplice «bene», visto in quest’ottica, potrebbe apparire come una bugia vera e propria, pur di non raccontare fatti privati della nostra vita.

Qui, dunque, l’autore propone la prima importante distinzione che divide alcune forme di inganno dalle bugie. Omissioni di questo tipo evitano di certo la verità, ma non fabbricano deliberatamente menzogne. Sono dunque considerabili come delle forme di inganno, ma non come bugie. Nella stessa categoria, Harris inserisce ad esempio anche illusionisti e giocatori di poker, che dissimulano in modo, però, inoffensivo.

Cos’è allora una bugia? La definizione precisa che ne viene data è che una bugia è “ingannare intenzionalmente gli altri quando loro si aspettano una comunicazione sincera”, ovvero mentire al preciso scopo che in altri si formino delle credenze non vere. Ogni bugia nasce, quindi, nel momento in cui crediamo qualcosa, ma poi la comunichiamo con la precisa intenzione di farne credere un’altra.

Questo può avvenire quotidianamente e per diverse ragioni: mentiamo per esagerare dei risultati, mentiamo facendo promesse che non abbiamo intenzione di mantenere, mentiamo per acquisire un vantaggio su qualcuno, mentiamo per nascondere un difetto di un prodotto o un servizio che stiamo promuovendo. Mentiamo in modo clamoroso o discreto, ma, in ognuno di questi casi, l’opportunità di ingannare l’altro resta sempre a portata di mano, tentatrice come un amo sotto il pelo dell’acqua.

Perché potremmo pensare che le bugie che fabbrichiamo vanno a danneggiare solo coloro cui sono rivolte, ma cosa dice questo di noi e dei rapporti che stiamo costruendo con il prossimo? Se le analizziamo attentamente, su cosa si stanno basando le relazioni che intratteniamo gli uni con gli altri?

Perché mentiamo?

Nel campo dell’economia comportamentale e della psicologia sociale sono state condotte numerose ricerche (i.e. Jacobsen et al., 2018) per cercare di comprendere in modo scientifico il perché sentiamo il bisogno di mentire. A partire da queste ricerche, sono state successivamente formulate molte teorie, che hanno portato ad una comprensione più profonda di questo nostro peculiare comportamento, ma che non ci hanno fornito una risposta che possa essere considerata certa e definitiva.

Tra queste teorie, spiccano sicuramente il modello economico di Becker (1968) e il modello di equilibrio morale di Nisan (1991).

Per l’economista Gary Becker, mentire può essere ricompreso in un quadro teorico economico-razionale basato sull’utilità attesa. Questo vuol dire che se i benefici di mentire in una determinata situazione superano i benefici che si avrebbero dicendo la verità, ecco che saremmo portati a scegliere una conveniente bugia. In sintesi, dal punto di vista dell’economia comportamentale, mentire, imbrogliare e compiere azioni disoneste, altro non sono che modalità per far in modo di aumentare il proprio guadagno personale, qualunque esso sia.

In contrasto con questo approccio, lo psicologo Mordecai Nisan sostiene che l’identità morale è importante e fondamentale per le persone e che, per questo, non potrà mai limitarsi ad un mero calcolo costi-benefici. La scelta se mentire o meno sarebbe piuttosto una sorta di risultato dato da  un punteggio di equilibrio morale tra precedenti comportamenti buoni e cattivi.

Cosa vuol dire questo? Che le persone solitamente non tendono ad una moralità ideale, ma si adeguano ad uno standard personale, formato sia da comportamenti egoistici che da comportamenti moralmente conformi. Se ad esempio una persona ha recentemente fatto qualcosa di buono, si sentirà “legittimata” la volta successiva a compiere scelte più egoistiche e questo, ovviamente, comprende anche il mentire.

In linea con quest’ultima teoria, Shu, Gino e Bazerman (2011), tramite una serie di scenari ipotetici e reali, dimostrano come le persone sono in grado di deviare da un comportamento moralmente corretto senza sentirsi in colpa grazie al disimpegno morale.

Ovvero, nel valutare un comportamento disonesto siamo portati ad auto-esentarci dalle regole morali che invece applichiamo duramente al comportamento degli altri (un fenomeno noto come “Errore Fondamentale di Attribuzione” o “Correspondence Bias”, cfr. Jones & Harris, 1967).

Se, ad esempio, siamo noi a mentire, tendiamo molto spesso a darci delle giustificazioni, che ci suonano convincenti, sul perché e sul per come la bugia che abbiamo appena detto non è poi così grave. Se è qualcun altro invece a mentire a noi, ecco che improvvisamente non ci vengono più in mente così tante scusanti, vero?

I benefici dell’onestà

Nella nostra società (soprattutto quella moderna), mentire su più livelli è diventata quasi una prassi, tanto che non ci rendiamo conto nemmeno più di farlo. Se all’inizio, a domanda secca, avreste detto che mentire è profondamente sbagliato, piano piano vi renderete conto che la maggior parte delle vostre comunicazioni contengono bugie e che quasi nessuna delle vostre relazioni è autentica nel vero senso del termine. Se state pensando che questa concezione sia un po’ troppo esagerata e radicale (io vi avevo avvisati all’inizio!) allora vi propongo subito qualche semplice esempio, per farvi capire cosa l’autore intende. 

Quante volte avete mentito ai vostri amici relativamente ai vostri reali impegni pur di evitare di fare determinati programmi con loro? Oppure, quante volte avete evitato di dar loro la vostra onesta opinione pur di evitare discussioni? O ancora, quante volte avete mentito alla vostra compagna quando vi chiedeva se quel vestito le stesse realmente bene? Quante volte e con chi potete realmente essere voi stessi senza dover nascondere o mentire su alcuni aspetti del vostro carattere?

Se ci poniamo queste domande, cominceremo a capire un po’ meglio le base su cui sono costruiti la stragrande maggioranza dei nostri rapporti, che intratteniamo spesso in modo inautentico o costruito. Facendo questo esperimento mentale, potreste ad esempio scoprire che alcune relazioni non potrebbero essere mantenute se voi foste sempre apertamente sinceri. Se fossimo sempre radicalmente onesti, spiega Harris, riusciremmo ad instaurare anche delle relazioni più solide, autentiche e di qualità, in cui poter essere la versione incensurata di noi stessi.

Ovviamente, tutti abbiamo dei rapporti che devono essere mantenuti, come ad esempio quelli con i familiari o con i colleghi di lavoro; tuttavia, usare tatto quando si parla o sviare la conversazione non sono la stessa cosa che mentire deliberatamente.

Ma l’onestà radicale potrebbe portare a galla ulteriori benefici, oltre al miglioramento della qualità delle relazioni che intratteniamo con l’altro. Pensate, ad esempio, alle dipendenze. Se un individuo che fa abuso di droghe fosse sempre sincero con chi gli sta intorno, invece di mentire costantemente, la sua dipendenza avrebbe una vita molto più breve, perché le persone care diventerebbero consapevoli e agirebbero prontamente in suo aiuto. O ancora, pensiamo allo studente fuori sede che non ha passato nemmeno un esame, ma mente ai suoi familiari, dicendo di essere vicino alla laurea? Non pensate che l’onestà potrebbe alleggerirlo da ansie e rimorsi?

La sincerità estrema porterebbe in superficie qualunque possibile disfunzione presente nella nostra vita e ci spingerebbe a farci i conti molto prima. Al costo di un iniziale disagio, ci metterebbe infatti nelle condizioni di evitare problemi ben più gravi a lungo termine. Inoltre, avendo la certezza che abbiamo sempre detto la verità, eviteremo di dover tenere traccia e ricordare tutte le informazioni che abbiamo inventato per fabbricare eventuali bugie.

Bugie bianche

Come già ripetuto più volte nel corso del testo, quella del filosofo Sam Harris è una teoria radicale e, come tutte le teorie radicali, non è impermeabile alle critiche e ai dissensi. Anzi, ne è così permeabile che Harris sceglie di dedicare un’intera sezione in fondo al libro dove si impegna a rispondere a tutte le critiche e le domande più frequenti che i lettori gli hanno posto per confutare o smontare questa teoria.

La quasi totalità di questi commenti riguarda uno specifico capitolo del libro che tratta delle cosiddette “bugie bianche”. Sono infatti sicura che anche a molti di voi erano già venute in mente mentre leggevate i precedenti concetti. Le bugie bianche, per come le definisce l’autore, sono quelle classiche bugie che “le brave persone dicono pensando di comportarsi nel modo corretto”. Sono tuttavia proprio questa tipologia di bugie il vero amo, quelle che ci tentano con più forza e con più frequenza. In fondo le diciamo per il bene dell’altro. Giusto?

Il punto è che, nel raccontarle, andiamo incontro agli stessi problemi morali e miniamo allo stesso modo le interazioni con le altre persone, rinunciando ad autenticità e sincerità. E, sebbene pensiamo di dirle per il bene dell’altro, i danni che facciamo, o che potremmo fare, non sono difficili da rintracciare. I nostri amici, i nostri cari, potrebbero infatti agire mossi da quelle che sono pur sempre menzogne e che noi stessi abbiamo costruito.

Facciamo un esempio e riprendiamo una vicenda che l’autore stesso ha vissuto e condiviso. Harris si trova ospite da un amico che lo ha invitato ad andare a rinfrescarsi nella sua piscina. È estate e sono seduti sul bordo con le gambe in acqua, in compagnia delle rispettive mogli. Ad un certo punto, l’amico chiede a Harris se lo vede bene in costume da bagno.

Ed ecco qui che si presenta uno scenario perfetto per una bugia bianca. Non costerebbe nulla, in fondo, mentire e rispondere all’amico «certo, stai davvero bene, ti vedo in forma!». L’autore, tuttavia, fedele alla sua teoria, sceglie la sincerità, rispondendo che, pur non essendo affatto in sovrappeso, l’amico ne beneficerebbe in salute se perdesse qualche chilo.

In questo caso, il risultato è stato che pochi mesi dopo l’amico di Harris aveva perso sette chili, grazie ad una nuova dieta e a del rinnovato esercizio fisico. Capiamo allora come una bugia (anche se “bianca”) avrebbe potuto portare un danno all’amico, che avrebbe creduto all’autore con fiducia e non si sarebbe mai impegnato in un miglioramento della propria salute fisica.

Una bugia bianca diventa allora un palese rifiuto di offrire una guida sincera per un’egoistica paura del confronto. Come già detto in precedenza, però, in un rapporto autentico e sincero, costruito sull’onestà, queste “paure” non dovrebbero aver senso di esistere.

È presente, tuttavia, un’altra categoria di bugie bianche, che è quella che viene utilizzata per nascondere delle verità dolorose. Anche in questo caso, ci sentiamo perfettamente giustificati ed autorizzati a mentire, perché crediamo in questo modo di proteggere il nostro caro.

Harris riprende allora vari esempi e varie storie fornite dai lettori stessi dove, quasi sempre, venivano presentate vicende in cui veniva negata alla persona cara la verità sulle sue reali condizioni di salute, dal momento in cui erano coinvolte malattie di natura terminale. Queste, ovviamente riguardavano soprattutto episodi legati al passato, oggi sappiamo che non sarebbe più possibile nascondere questo genere di informazioni al malato. Un tempo però gli inganni medici non erano così rari.

Un episodio in particolare viene ripreso dall’autore che racconta come a sua nonna, che soffriva di melanoma metastatico, fosse stata nascosta la vera diagnosi con la bugia che si trattasse di artrite. Suo marito, ovvero il nonno di Harris, conosceva la verità e mantenne il segreto. Anche i due figli (ovvero la madre di Harris ed il fratello, suo zio) furono tenuti all’oscuro di tutto, così quando la nonna venne ricoverata e morì per tutti fu una sorpresa.

Ecco, una bugia di questo genere, che saremmo tentati di giustificare, porta con sé non poche conseguenze: se solo i membri di questa famiglia fossero stati sinceri l’un l’altro avrebbero potuto avere una consapevolezza maggiore del poco tempo che gli restava insieme e avrebbero potuto sostenersi a vicenda non lasciando l’ammalata nell’ignoranza e nella solitudine della propria reale condizione.

Fiducia e Segreti

Abbiamo più volte detto di come le bugie, anche le più piccole, abbiano il potere di minare le fondamenta di qualunque relazione, anche le più solide, ed abbiamo approfondito in che modo l’onestà potrebbe invece aiutarci a vivere dei legami più autentici e di qualità.

A questo proposito, ci rimangono da approfondire due concetti importanti, primo fra tutti la fiducia. Definiamo innanzitutto la fiducia come “lo stato psicologico che comprende l’intenzione di accettare la vulnerabilità basata su aspettative positive delle intenzioni o del comportamento di un altro” (Rousseau, Sitkin, Burt, & Camerer, 1998, p. 395) e capiamo, anche solo intuitivamente, che la fiducia è strettamente legata al concetto di bugia.

Sebbene infatti esistano molti modi per danneggiare la fiducia, la ricerca scientifica esistente identifica un comportamento particolarmente tossico per la fiducia: l’inganno.

In una ricerca di Schweitzer e colleghi (2006) viene dimostrato, ad esempio, che la fiducia danneggiata da un comportamento inaffidabile può essere ripristinata in modo efficace se la persona comincia, da quel momento in poi, ad osservare una serie coerente di azioni affidabili. Al contrario, se la fiducia viene danneggiata da qualche forma di inganno, allora diventa impossibile rispristinarla, anche nel momento in cui chi è stato ingannato riceve scuse, promesse e osserva, allo stesso modo,  una serie coerente di azioni affidabili.

A questo proposito, nel libro vengono fatti degli esempi piuttosto efficaci di situazioni comuni che potremmo ritrovarci a vivere nella vita di tutti i giorni.

Mara e Noemi sono amiche da tempo. Un pomeriggio in particolare, Mara è a casa di Noemi per un caffè e quattro chiacchiere. Ad un certo punto Noemi riceve un messaggio vocale: un’altra sua amica, Laura, le propone di uscire per quel weekend.

Mara osserva così l’amica Noemi registrare un messaggio vocale di risposta in cui, senza esitazioni, dice a Laura che no, quel weekend non si sarebbero potute vedere per via del figlio malato. Mara resta sorpresa: il figlio di Noemi e lì in soggiorno con loro, gioca con i pastelli e sta benissimo.

Noemi mette via il telefono e riprende il discorso che stavano facendo come nulla fosse successo. Mara, tuttavia, ha inconsciamente registrato una nuova informazione sull’amica: se dovesse tornarle utile, Noemi non si farebbe scrupoli a mentire, anzi, quante di quelle volte in cui aveva declinato un suo invito erano in realtà una menzogna?

Mara non può rimproverare nulla di concreto all’amica, l’ha solo ascoltata lasciare un messaggio, ma, dopo averla ascoltata mentire con tanta scioltezza, la sua fiducia in lei è irrimediabilmente intaccata. Naturalmente, se il rapporto fosse stato più profondo, più onesto, Mara si sarebbe potuta permettere di dire qualcosa all’amica, ma così crede che non abbia senso confrontarsi su una cosa che non la riguarda direttamente.

Un altro concetto altrettanto importante nei nostri intrecci sociali sono i segreti. L’impegno radicale ad essere sinceri che questa teoria richiede potrebbe far pensare che anche mantenere segreti potrebbe essere fonte di bugie. Tuttavia, di base, non esistono conflitti fra la sincerità ed i segreti. Se qualcuno mi chiede quanti soldi ho sul conto in banca, potrei dire semplicemente «preferiscono non rispondere». In questo caso, direi la verità, ma, al tempo stesso, non rivelerei il mio segreto. 

Il problema si porrebbe nel momento in cui io mi venissi a trovare in una più complessa rete di inganni, creata appositamente con il fine di mantenere un segreto. Immaginiamo di nuovo due amiche, questa volta le chiameremo Michela e Loredana.

Michela e Loredana frequentano la stessa cerchia di amici comuni e si vedono con regolarità. Un bel giorno Michela viene a sapere da una persona della loro cerchia comune che il marito di Loredana, Marco, la tradisce.

Marco lavora come regista, è una persona affermata e conosciuta, e non è stato affatto discreto. La donna con cui tradiva Loredana era un’attrice, ma lui l’assunse come assistente alla produzione, di modo tale che potesse accompagnarlo a tutti i viaggi di lavoro e in tutte le occasioni formali. 

In questo modo, Michela veniva a trovarsi in una posizione davvero scomoda: da una parte avrebbe voluto raccontare tutto a Loredana, dall’altro aveva promesso alla persona che gli aveva raccontato tutto di non dire nulla e di mantenere il segreto per sé.

La questione era resa ancora più spinosa dal fatto che Michela non era una delle amiche più vicine a Loredana, la loro non era un’amicizia poi così stretta, ma neanche le persone più vicine a lei che sapevano dicevano nulla.

Cosa fare quindi? Se ci assumessimo tutti l’impegno di essere sempre radicalmente sinceri non si verrebbero a creare situazioni di questo tipo che, dalla bugia di un singolo individuo, si diramano in una serie di complessi inganni.

Tali inganni, come abbiamo visto,  possono legare più persone ad uno stesso segreto e le costringe alla finzione pur di mantenerlo, seppellendo un’unica ignara vittima sotto una montagna di pettegolezzi e menzogne.

Conclusioni – Bugie in extremis

Immanuel Kant era convinto che mentire fosse profondamente immorale in qualunque circostanza. Sam Harris riprende questo concetto e lo amplia, arricchendo il suo libro di numerosi esempi pratici tratti dalle interazioni nella società moderna.

Io ve ne ho riportati solo alcuni, che fossero però utili a chiarirvi la portata di questo punto di vista rivoluzionario. In sintesi, abbiamo spiegato che mentire impedisce lo stabilirsi di relazioni autentiche e mina la fiducia in quelle già formate.

La disponibilità ad essere sinceri, al contrario, porta alla creazione di rapporti molto più profondi e gratificanti, senza la necessità di dover pagare il “costo psicologico” che le bugie richiedono dal momento in cui dobbiamo tenerne traccia.

Sì, perché, come abbiamo visto, le bugie generano altre bugie, ma a differenza delle affermazioni che si basano sui fatti, le bugie devono continuamente essere protette dallo scontro con la realtà, generando una reazione a catena di inganni.

Ma questo, purtroppo, non riguarda solo le interazioni quotidiane che possiamo avere nel nostro piccolo. Ci sono menzogne che minano la fiducia nei governi e nelle grandi aziende.

Le aziende farmaceutiche, ad esempio, non di rado sono protagoniste di vari inganni pubblici. Pensiamo alla più recente e diffusa paura verso le vaccinazioni, che, se vogliamo, affonda le sue radici molto più indietro nel tempo.

Un caso esemplare è quello del medico Andrew Walkefield che, nel 1998, pubblicò sull’autorevolissima rivista scientifica The Lancet, uno studio che sosteneva una correlazione fra autismo e uno specifico tipo di vaccino.

Ovviamente fu subito scoperto che i risultati erano una menzogna e Walkefield fu prontamente radiato dall’albo dei medici, ma le conseguenze del suo inganno e la successiva reazione a catena erano ormai state innescate e i tassi di vaccinazione crollarono.

Questo fenomeno è noto in psicologia come “effetto della verità illusoria” e rende molto difficile rimuovere alcune “bugie” una volta che sono state diffuse.

La predisposizione a ricordare come vere delle affermazioni, anche dopo che sono state corrette, viene generata dal fatto che ormai queste ci suonano come familiari, e la familiarità genera credibilità, indipendentemente da ciò che sia effettivamente poi vero o falso.

La ripetizione, dunque, è uno dei prerequisiti chiave per l’effetto della verità illusoria, assieme alla memoria, che ne diventa la complice perfetta.

Se un’affermazione è abbastanza familiare da farci pensare di averla ascoltata o letta prima, se attiva in noi anche solo un vago ricordo, allora è più probabile che la giudichino come vera (Henderson et al., 2021).

Questo perché, a lungo andare, diventa sempre più facile per noi elaborare questo genere di informazioni ripetute, ci richiedono uno sforzo cognitivo molto basso, e le diamo per assodate, anche se sono prive di significato, anche se sono bugie, anche se è stato provato che sono prive di fondamento scientifico.

La “Legge di Brandolini” ci dice infatti che “l’energia necessaria a confutare una sciocchezza è molto superiore a quella necessaria a produrla”. Questa “legge” nasce dal tweet (diventato poi virale) del programmatore italiano Alberto Brandolini, ma sembrerebbe che questo aforisma non fosse nient’altro che un’ispirazione data dalla lettura di “Pensieri lenti e veloci” di Daniel Kahneman.

In quest’opera il famoso economista, nonché premio Nobel, illustra due sistemi di pensiero: il cosiddetto “Sistema 1”, più rapido, funziona in modo automatico, inconscio, e il “Sistema 2”, che prevede un’elaborazione a livello cosciente, ma più lenta, lunga e faticosa.

Ecco, nell’effetto della verità illusoria, noi tendiamo ad abbandonarci al Sistema 1, preferendo un’elaborazione automatica che non ci richiede alcuno sforzo.

Questo consente la diffusione crescente delle cosiddette “fake news”, che leggiamo soprattutto tramite social network e che tendiamo ad assumere come vere senza prenderci la briga di andare a verificare (Ahmadi, 2020).

Più in generale, quindi, qualunque forma di vizio ed immoralità, se ci pensiamo bene, sono sostenuti dalle bugie, dai più piccoli ai più grandi: dai tradimenti personali all’adulterio, dalle corruzioni governative alle frodi finanziarie alle fake news.

Le bugie quotidiane ci spingono a diffidare del prossimo, le bugie dei potenti ci spingono a diffidare di governi ed aziende, perché, come riassume magistralmente Harris, “le menzogne sono l’equivalente sociale dei rifiuti tossici: siamo tutti potenzialmente a rischio a causa del loro sversamento”.

Ma come potrebbe cambiare la nostra società se innescassimo invece una reazione a catena positiva? Cosa succederebbe se facessimo nostro questo impegno di essere radicalmente sinceri a partire dalle nostre piccole vite personali, fino ad arrivare ai più importanti snodi governativi?

Un cambiamento di sistema difficile da attuare, ma per cui varrebbe la pena di non farsi più prendere all’amo.

✅ Articolo revisionato da Roberta De Cicco e Serena Iacobucci
✅ Editato da Francesca Bellante

Disclaimer: Il libro “Bugie” di Sam Harris ci è stato inviato dalla Casa Editrice ROI Edizioni. Le opinioni espresse nella recensione sono indipendenti dalla volontà dell’editore e corrispondono unicamente all’opinione dell’autrice. I titoli dei paragrafi sono liberamente ispirati a quelli contenuti nel libro.

Bibliografia

Ahmadi, E. (2020). The role of illusory truth effect in believing the false news of cyberspace. Quarterly of Social Studies and Research in Iran, 9(3), 549-566.

Becker, G. S. (1968). Crime and Punishment: An Economic Approach. Journal of Political Economy, 76(2), 169.

Bok, S. (2003). Mentire. Una scelta morale nella vita pubblica e privata. Armando Editore.

Bortolotti, Alessandro. 2022. “Neuromarketing e scelte inconsapevoli: il ruolo del colore”. Economia Comportamentale. Disponibile qui https://blog.economiacomportamentale.it/2022/03/17/neuromarketing-e-scelte-inconsapevoli-il-ruolo-del-colore/

DePaulo, B. M., & Kashy, D. A. (1998). Everyday lies in close and casual relationships. Journal of personality and social psychology, 74(1), 63.

DePaulo, B. M., Kashy, D. A., Kirkendol, S. E., Wyer, M. M., & Epstein, J. A. (1996). Lying in everyday life. Journal of personality and social psychology, 70(5), 979.

Gaccione, Alessia. 2022. “Il ruolo del font: identità di brand, percezione (e spinte gentilissime)”. Economia Comportamentale. Disponibile qui https://blog.economiacomportamentale.it/2022/04/22/il-ruolo-del-font-nellidentita-del-brand-come-spinta-gentile/

Henderson, E. L., Simons, D. J., & Barr, D. J. (2021). The trajectory of truth: A longitudinal study of the illusory truth effect. Journal of cognition, 4(1).

Howard, R. A., & Korver, C. D. (2008). Ethics for the real world: Creating a personal code to guide decisions in work and life. Harvard Business Press.

Jacobsen, C., Fosgaard, T. R., & Pascual‐Ezama, D. (2018). Why do we lie? A practical guide to the dishonesty literature. Journal of Economic Surveys, 32(2), 357-387.

Jones, E. E., & Harris, V. A. (1967). The attribution of attitudes. Journal of experimental social psychology3(1), 1-24.

Kalbfleisch, P. J. (2001). Deceptive message intent and relational quality. Journal of Language and Social Psychology, 20(1-2), 214-230.

Nisan, M. (1991). The moral balance model: Theory and research extending our understanding of moral choice and deviation. In W. M. Kurtines & J. L. Gewirtz (Eds.), Handbook of Moral Behavior and Development (Vol. 3, pp. 213–249). Lawrence Erlbaum Associates, Inc.

Rousseau, D. M., Sitkin, S. B., Burt, R. S., & Camerer, C. (1998). Not so different after all: A cross-discipline view of trust. Academy of management review, 23(3), 393-404.

Sagarin, B. J., Rhoads, K. V. L., & Cialdini, R. B. (1998). Deceiver’s distrust: Denigration as a consequence of undiscovered deception. Personality and Social Psychology Bulletin, 24(11), 1167-1176.

Schweitzer, M. E., Hershey, J. C., & Bradlow, E. T. (2006). Promises and lies: Restoring violated trust. Organizational behavior and human decision processes, 101(1), 1-19.

Shu, L. L., Gino, F., & Bazerman, M. H. (2011). Dishonest deed, clear conscience: when cheating leads to moral disengagement and motivated forgetting. Personality and Social Psychology Bulletin, 37(3), 330–349.

L’autrice

Sara Ferracci è dottoressa di Ricerca in Business & Behavioural Sciences ed è attualmente ricercatrice post-doc in Behavioral Economics. I suoi interessi di ricerca riguardano principalmente multisensory integration ed embodied cognition nei processi decisionali e nel comportamento dei consumatori. Si è occupata di copywriting scientifico per lo spin-off Umana-Analytics. Sara è Editorial Specialist per EconomiaComportamentale.it.


Vuoi ricevere altri contenuti come questo direttamente nella tua mail?
Iscriviti al form in basso, ti manderemo un articolo al mese – fresco di editing e non una mail in più.

Iscriviti alla newsletter del nostro Blog

* indicates required

Lascia un commento