“Comportamentale, Watson!”. Sherlock Holmes e l’arte dell’inferenzaTempo di lettura stimato: 11 min

di Angelo Equabile

Il più famoso investigatore del genere giallo, ideato da Arthur Conan Doyle, vanesio e arrogante quanto basta a contenere il suo talento nel risolvere i casi più enigmatici, si distingue per la sua capacità deduttiva, figlia del sistema razionale. Ma come si potrebbe mai rievocare l’immagine di Sherlock Holmes senza affiancarlo al deuteragonista Dr. Watson, che ne bilancia la figura sostenendolo sotto un profilo più umano?

L’esordio conoscitivo di questi due personaggi in “Uno studio in rosso” appare sin da subito come un momento di complementarietà che suggella l’adagio “gli opposti si attraggono”. Infatti, i due si caratterizzano per avere temperamenti apparentemente opposti: Holmes, deciso, freddo e analitico, raccoglie velocemente alcuni dati sul suo nuovo inquilino svelando  in tal modo la sua professione e il suo passato affermando senza indugio che è stato ufficiale medico in Afghanistan partendo solo da alcuni semplici dettagli (abbronzatura, portamento e macchie sulla pelle); Watson, più emotivo, si lascia affascinare dalla prodigiosa retrocognizione del suo interlocutore. 

In ragione della loro diversità, Maria Konnikova (2013), autrice del best seller “Mindmaster”, li propone come la reificazione del sistema 1 e del sistema 2 teorizzati da Daniel Kahneman. Questi sistemi identificano le due principali vie con cui il nostro cervello funziona: la prima, mossa dall’istintività e premiata dalla velocità, e la seconda, alimentata dal ragionamento analitico e lento.

Tra il pensiero lento e quello veloce, così come tra Holmes e Watson, è necessario che vi sia una relazione di armonia e complementarietà per raggiungere quel giusto stato mentale di equilibrio fra ragione e sentimento. L’impressione è che uno sia assoggettato all’altro, ossia sembra che il sistema 1 (Watson) sia dominato dal sistema 2 (Holmes). Tuttavia, in diverse occasioni, Sherlock Holmes, nonostante la sua boria, ammette che alcuni dei casi più misteriosi siano stati risolti anche grazie all’aiuto del suo fido assistente.

Ma rimanendo fedeli all’oggetto della nostra dissertazione: qual è il modus operandi con cui Sherlock Holmes risolve i casi più enigmatici? Qual è la mappatura del processo che porta alla soluzione dell’enigma? 

Il Metodo Sherlock Holmes

Tutto parte dall’attenzione ai più piccoli dettagli, migliorando di fatto la qualità del giudizio del caso. Ciò è ricavabile dalla legge dei piccoli numeri (Tversky e Kahneman, 1971), secondo la quale un campione piccolo non restituisce una buona rappresentazione della popolazione in quanto si osserverebbero risultati estremi.

Sulla scorta di tale legge si potrebbe asserire che la differenza tra Sherlock Holmes e qualsiasi altro investigatore è che il primo raccoglie un campione molto grande di indizi, mentre gli altri cedono alla tentazione di fornire tempestivamente spiegazioni causali.

Infatti, il nostro protagonista, prima di giungere alle conclusioni, si sofferma su alcuni dettagli apparentemente insignificanti: il solco di una carrozza sul terreno, la cenere di un sigaro, la grafite di una matita, la presenza o meno di un anello al dito, ecc.

Una volta raccolti i più reconditi dettagli, Sherlock Holmes li  accantona nella “soffitta della mente” e talvolta li lascia decantare, come nel racconto “La Lega dei Capelli Rossi”. Dopo aver ascoltato la dichiarazione dal suo cliente Jabez Wilson, che gli racconta una strana storia riguardo a una lega di uomini dai capelli rossi, dice al suo assistente Watson: “posso permettermi un paio d’ore per riflettere in pace, per favore non disturbatemi. Sarò occupato con le mie tre pipe”.

Da questo momento, la distanza psicologica (Trope e Liberman, 2010) dal caso abilita la mano invisibile della logica –  supportata dall’esperienza e della conoscenza dei casi pregressi – che provvederà a ordinare il tutto fintanto che non si addiverrà ad una conclusione dalla connotazione sensata. Si realizza così la deduzione, termine citato svariate volte nei racconti di Sir Arthur Conan Doyle che inizia con l’escludere ciò che è superfluo da una visione d’insieme pleonastica.  

L’arte dell’inferenza tra deduzione, induzione e abduzione

Ne“Il segno dei quattro”, il nostro amico di stanza a Baker Street, ci descrive in maniera cristallina la parte iniziale del processo deduttivo che “inizia dalla supposizione che una volta eliminato tutto ciò che è impossibile, allora ciò che rimane, per quanto improbabile, dev’essere vero” il che è in linea con l’etimologia del termine deduzione che dal latino de-ducere significa “condurre da” o “ portare via da” un insieme più grande.

Tuttavia, la risoluzione dei casi coinvolge un processo dalla portata più olistica che comprende l’intera gamma dell’inferenza, che oltre alla deduzione prevede anche l’induzione e l’abduzione, concetti questi che sono stati portati agli onori dal matematico e filosofo Peirce (1878) e che riproponiamo sinteticamente sottolineando il fatto che i tre tipi di inferenza rispecchiano in un certo modo uno spettro che va dalla certezza all’ipotesi.

Deduzione: si parte da una premessa maggiore che viene assunta come vera (tutti i fagioli in questo sacco sono bianchi) passando da una premessa minore (questi fagioli vengono da questo sacco) e, infine, si arriva ad una conclusione (questi fagioli sono bianchi).
La deduzione garantisce la certezza in quanto le premesse sono vere.

Induzione: si parte dall’ osservazione di un caso particolare (questi fagioli vengono da quel sacchetto) si passa ad un ulteriore dettaglio del caso osservato (questi fagioli sono bianchi) e si arriva ad una conclusione sommaria ossia da verificare (tutti i fagioli di quel sacchetto sono bianchi). L’induzione fornendo conclusioni probabilistiche basate su osservazioni non ci dà la certezza assoluta fino a quando non osserviamo tutti i fagioli nel sacchetto in quanto i restanti potrebbero essere di colore diverso dal bianco.

Abduzione: si parte da un indizio, ovvero dall’osservazione di un segno (questi fagioli sono bianchi), si passa attraverso una regola generale (tutti i fagioli in quel sacchetto sono bianchi) e si conclude con un’ ipotesi o interpretazione con un elevato grado di incertezza da confermare (questi fagioli vengono dal quel sacchetto). L’abduzione formula ipotesi plausibili che richiedono ulteriori verifiche, in quanto non si ha la certezza che i fagioli bianchi provengano proprio da quel sacchetto.

I rischi dell’inferenza: bias di conferma e salience bias

Nonostante nei racconti non si citino esplicitamente induzione e abduzione l’approccio dell’investigatore riflette spesso il metodo abduttivo che risulta essere, tra l’altro, quello maggiormente in uso nel campo della ricerca scientifica (Lipton, 2004). 

Ma qual è il rischio di non governare adeguatamente tale metodo? In “L’avventura di Wisteria Lodge”, lo stesso Holmes ci mette in guardia dal pericolo di adattamento previsto da tale metodo, affermando che “è sbagliato fare congetture basate su ipotesi, si rischia di adattarle alla nostra teoria” e andando, così, a preconizzare quello che gli psicologi moderni identificano come Bias di conferma (Wason, 1966).

Con questa espressione, si descrive la tendenza delle persone a cercare nell’ambiente circostante dati che confermino idee preesistenti nella loro mente. Quante volte sentiamo “nelle ossa” una qualche conclusione provvisoria sulla base dello stato attuale delle conoscenze e inconsciamente andiamo cercando ulteriori elementi a supporto della nostra tesi?

Tipico è il caso del narcisista che, convinto del proprio fascino, comincia a fissare ogni bella donna in attesa di un feedback e, nel caso fortuito che lo sguardo della sconosciuta incroci il proprio, questi valida la convinzione iniziale di essere il più bello del quartiere – anche se ha 80 anni e la sua ninfa ne ha 40 in meno.

Ma una probabile cura a tale “distorsione” della mente esiste, ed è assumere la consapevolezza di poter essere afflitti da preconcetti irrazionali che provocano uno scollamento fra la verità dei dati oggettivi e le nostre interpretazioni.

Come? Mettendo in discussione le nostre stesse ipotesi prevedendone a margine anche altre, magari le più diverse possibili dalla prima andando a provocare un legittimo dubbio definito boostrapping dialettico (Herzog e Hertwig, 2014)[1]. Per tenerci sull’esempio pratico, si potrebbe riflettere sull’ipotesi di essere stato osservato perché si è anziano.

In generale, ogni qualvolta si inferisce, si rischia di cadere in un qualche bias che ci può depistare dalla giusta traccia. Uno dei più pericolosi è il Salience bias, a cui neanche il nostro detective è rimasto immune. La salienza si manifesta ogni qualvolta ci focalizziamo unicamente su taluni aspetti che destano il nostro interesse, lasciando sullo sfondo quelli che riteniamo  meno importanti (Newman, 2005).

La salienza può provocare una distorsione attentiva che abilita il cervello a processare l’ambiente circostante eliminando il superfluo per focalizzarsi unicamente su ciò che ritiene importante. 

Per tornare ai nostri racconti, in “Uno scandalo in Boemia” Holmes sembra concentrarsi su aspetti rilevanti come il posto dove era stata nascosta la fotografia compromettente che ritrae il re di Boemia con la bellissima Irene Adler tralasciando un elemento molto importante: Irene Adler è un’attrice di grande talento.

Questo dettaglio, apparentemente secondario, si rivela cruciale poiché permette a Irene, oltre che ingannare il protagonista mediante i suoi molteplici travestimenti, di riconoscere e prevedere le mosse di Holmes, sventando il suo piano. 

Non è raro imbattersi nella fallacia provocata dal salience bias, soprattutto in ambiti particolarmente complessi come quello medico e militare (Gawande, 2010) che negli anni hanno implementato procedure sempre più sofisticate supportate da checklist e protocolli (come quelli suggeriti da Kahneman e colleghi finalizzata  a scoprire e neutralizzare difetti nel pensiero dei team, raccontati nella raccolta di saggi Grandi idee, grandi decisioni’, di cui vi abbiamo parlato qui)

Uno degli esempi più semplici di come in tali ambiti si riduca il rischio attentivo, è quello legato alla procedura per il lancio della bomba a mano, che alcuni ricorderanno dal tempo della leva obbligatoria. Durante l’addestramento, il direttore dell’esercitazione enuncia due semplici ordini che preparano il soldato all’azione: “pronti per il lancio” e “lancio”.

Ciò permette alla mente del lanciatore di eseguire le  procedure necessarie affinché il lancio avvenga correttamente.  Nello specifico, al comando “pronti per il lancio” il soldato si predispone fisicamente al lancio e stacca la sicura, continuando ad impugnare l’esplosivo.

Sull’ordine “lancio”, esegue quanto richiesto. Senza  questi due ordini, il militare potrebbe essere eccessivamente concentrato sulla sagoma da colpire e dimenticare di staccare la linguetta o di posizionarsi correttamente sulla piazzola di tiro, operazioni che potrebbero sembrare  banali ma che invece sono cruciali per la sicurezza e l’efficacia dell’azione.

I racconti di Sherlock Holmes si spingono ben oltre la pura intenzione di intrattenere il lettore ma, diversamente, lo invitano a riflettere su questioni più profonde che riguardano il funzionamento della nostra mente e la capacità di giudizio che ognuno di noi usa nelle proprie attività quotidiane.

Attraverso le indagini di Holmes esploriamo l’arte dell’inferenza e l’importanza dell’osservazione attenta, senza cadere nell’eccessiva focalizzazione. In questo modo il nostro detective privato continua ad essere non solo un’icona della letteratura gialla ma anche un’insegnante silente della complessità della mente umana.


[1] ll bootstrapping dialettico è un metodo per migliorare il processo decisionale considerando prospettive o argomentazioni opposte. Valutando e integrando punti di vista contraddittori, si possono affinare le conclusioni e raggiungere una decisione più equilibrata e accurata.

✅ Revisione a cura di: Roberta De Cicco, Serena Iacobucci, Francesca Bellante
✅ Editing a cura di: Sara Ferracci

Riferimenti bibliografici

Gawande, A. (2010). The checklist manifesto: How to get things right. Metropolitan Books.

Herzog, S. M., & Hertwig, R. (2014). Think twice and then: Combining or choosing in dialectical bootstrapping? Journal of Experimental Psychology: Learning, Memory, and Cognition, 40(1), 218-232.

Konnikova, M. (2013). Mastermind: How to think like Sherlock Holmes. Penguin Books.

Lipton, P. (2004). Inference to the best explanation: Fundamentalism’s failures. Routledge.

Newman, R. S. (2005). The cocktail party effect in infants revisited: Listening to one’s name in Nic Cheeseman, Caryn Peiffer (2022). The curse of good intentions: Why anticorruption messaging can encourage bribery. American Political Science Review, 116(3), 1081-1095.

Peirce, C. S. (1878). Deduction, induction, and hypothesis. Popular Science Monthly, 13, 470-482.

Trope, Y., & Liberman, N. (2010). Construal level theory of psychological distance. Psychological Review, 117(2), 440-463.

Tversky, A., & Kahneman, D. (1971). Belief in the law of small numbers. Psychological Bulletin, 76(2), 105-110.

Wason, P. C. (1966). Reasoning. In B. M. Foss (Ed.), New horizons in psychology: Volume 1. Harmondsworth, UK: Penguin.

L’Autore

Angelo Equabile, economista e pubblicista. 

Autore di alcuni articoli afferenti la tematica del procurement pubblico e della comunicazione, nell’ambito dei suoi scritti porta avanti un suo personale percorso di ricerca sulla “teoria delle scelte razionali” e sulle “dinamiche organizzative”.

Lavora come Chief Financial Officer (CFO) presso un ente del Ministero della Difesa.

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