Simpatici, viralissimi e potenti. Il Lato Psicologico dei MemeTempo di lettura stimato: 24 min

di Eugenia Antonellis e Alessandro Bortolotti

Come definire un meme?


Un contenuto prettamente visivo  che diventa “virale” sui social media? Un’immagine divertente o una parodia? Ognuna di queste risposte è corretta, ma riesce a catturare solamente in parte la natura di di un fenomeno comunicativo ben più ampio.


I meme rispondono a una vasta gamma di esigenze: intrattenimento, identità, informazione, appartenenza (Ruggiero, 2000). Offrono un modo semplice e coinvolgente per partecipare al discorso pubblico, esprimere sé stessi e sentirsi parte di una comunità (Segev et al., 2015).  Oggi il meme è profondamente radicato nella nostra quotidianità e nel nostro modo di esprimerci. È diventato il simbolo di una modalità rapida ed efficace di comunicare emozioni, opinioni e concetti complessi. Basta un attimo perché venga riconosciuto: chi lo guarda e ne coglie il significato, spesso si riconosce nel protagonista o nella protagonista, sorride e sente il desiderio di condividerlo con qualcun altro. È proprio questa condivisione a moltiplicarne la forza comunicativa. 

Il meme viaggia veloce, si diffonde su larga scala e, in quanto simbolo condiviso, finisce per influenzare la cultura popolare, al pari di altre forme artistiche (Bortolotti et al., 2025a). Queste caratteristiche, insieme a quelle già evidenziate, lo rendono uno strumento di straordinaria potenza comunicativa. Grazie alla loro forma breve e densa, permettono di trasmettere contenuti complessi in modo immediato. E proprio per questo sono sempre più usati anche nelle campagne di comunicazione sociale,  politica o di marketing (Wagener, 2024).

Ma da dove spunta fuori il meme

Sebbene oggi si tenda ad associare i meme alla cultura digitale e alla rapida diffusione di contenuti umoristici sui social media, il concetto ha origini ben più profonde. Il termine “meme” è stato coniato per la prima volta dal biologo evoluzionista Richard Dawkins nel suo libro ‘Il gene egoista’ (1976), dove veniva definito come un’unità di trasmissione culturale, analoga al gene nella biologia. Secondo Dawkins, i meme sono idee, comportamenti, simboli o pratiche che si replicano da mente a mente attraverso l’imitazione, la comunicazione e l’apprendimento sociale. Possono includere elementi come melodie, mode, espressioni linguistiche, credenze religiose o tecniche artigianali.

Con l’avvento dell’era digitale, il significato di “meme” si è evoluto e ampliato. Oggi il termine è comunemente utilizzato per indicare contenuti visivi e testuali (spesso umoristici o satirici) che si diffondono viralmente attraverso le piattaforme online, come immagini modificate, GIF, video brevi o frasi ricorrenti (Shifman, 2013).

I meme fungono da veri e propri vettori culturali: condensano significati condivisi, riflettono tendenze sociali e si trasformano nel tempo attraverso la partecipazione collettiva degli utenti. Rappresentano una forma contemporanea e accelerata di trasmissione culturale, in cui la replicabilità e la mutazione sono favorite dalla natura partecipativa e interconnessa del web. Non sono solo immagini divertenti o battute ironiche (spesso volutamente esagerate), ma strumenti comunicativi con un impatto potenzialmente enorme.

Possono influenzare opinioni, atteggiamenti e perfino decisioni economiche, come l’acquisto di un prodotto diventato virale, la scelta di investire in una criptovaluta promossa ironicamente online, o persino il boicottaggio di un brand a seguito di una campagna satirica condivisa su larga scala.

Un esempio emblematico: il caso delle azioni di GameStop nel 2021.
Nel 2021, un gruppo di piccoli investitori su Reddit, soprattutto dal forum r/WallStreetBets, ha iniziato a comprare in massa azioni di GameStop, una catena di videogiochi in difficoltà. Lo hanno fatto con l’obiettivo di contrastare grandi fondi speculativi che avevano puntato sul calo delle azioni vendendole allo scoperto (short selling).

Questa forte domanda ha fatto impennare il prezzo, costringendo i fondi a chiudere le posizioni con grosse perdite, creando un effetto chiamato “short squeeze”. La comunità di Reddit ha festeggiato questa “vittoria” con meme ironici e virali come quello mostrato nella Figura 1. Questi meme hanno reso la vicenda famosa in tutto il mondo, attirando nuovi investitori e dimostrando come i meme possano agire da catalizzatori emotivi e sociali, influenzando scelte finanziarie ed economiche in modo imprevedibile.

Figura 1. Fonte: @TheEpicDept

Il meme dalla prospettiva dell’economia comportamentale

Il successo dei meme risiede soprattutto nella capacità di catturare l’attenzione in pochi secondi, un aspetto che si collega a meccanismi ben noti dell’economia comportamentale. In particolare, i meme sfruttano l’attenzione selettiva: in un ambiente digitale saturo di stimoli, solo i contenuti visivamente accattivanti e cognitivamente semplici riescono a emergere. Inoltre, fanno leva su bias cognitivi quali ad esempio il bias della disponibilità, che ci porta a ricordare ciò che vediamo più spesso o che ci colpisce emotivamente).

Attraverso l’ironia e l’esagerazione, i meme influenzano anche il modo in cui le informazioni vengono interpretate, sfruttando meccanismi di framing. I meme possono rafforzare alcuni bias cognitivi, in particolare il bias di conferma. Essendo spesso condivisi quando esprimono ciò che si pensa già, finiscono per consolidare convinzioni esistenti e indebolire il confronto con punti di vista diversi (Nickerson, 1998).

Questo processo contribuisce alla formazione delle cosiddette camere dell’eco (echo chambers), ambienti digitali, spesso alimentati dagli algoritmi dei social media, in cui le persone sono esposte quasi esclusivamente a contenuti che rispecchiano le loro idee. All’interno di queste camere, i meme agiscono come segnali di appartenenza e rinforzo identitario: non solo confermano ciò che si pensa, ma lo fanno in modo rapido, emotivo e condivisibile.

Il risultato è una comunicazione sempre più polarizzata, dove il confronto con opinioni diverse si riduce drasticamente. Un altro bias che i meme tendono ad amplificare è l’effetto di superiorità dell’immagine. Le immagini, rispetto alle parole, vengono elaborate e ricordate con maggiore facilità (Paivio, 1986). I meme sfruttano proprio questa dinamica, combinando elementi visivi e testuali per rafforzare la memorizzazione e amplificare l’impatto comunicativo (Shifman, 2013).

Perché i meme ci restano in testa

Dal punto di vista psicologico, i meme sfruttano meccanismi cognitivi profondi. Le emozioni giocano un ruolo centrale nella loro diffusione, in particolare attraverso l’uso dei cosiddetti superstimoli, contenuti visivi o concettuali estremamente salienti, capaci di catturare l’attenzione e generare una risposta amplificata (Legrenzi & Umiltà, 2016). In questo senso, i meme sono unità di informazione culturale che si diffondono e si trasformano attraverso l’interazione sociale, adattandosi ai contesti e ai significati condivisi dagli utenti (Dawkins, 1976). Come i geni trasmettono informazioni biologiche, i meme trasmettono idee, simboli, comportamenti e valori culturali, adattandosi nel tempo grazie alla loro capacità di essere copiati, modificati e condivisi.

I meme riflettono dinamiche sociali profonde, come il bisogno di esprimere dissenso, ironizzare sulle relazioni umane o semplicemente condividere un momento di comicità collettiva. Proprio perché attingono a esperienze comuni e a emozioni condivise, i meme non si limitano a rappresentare la realtà: la reinterpretano e la ridefiniscono continuamente. Ogni volta che un utente crea, modifica o rilancia un meme, contribuisce a plasmarne il significato, inserendolo in nuovi contesti e prospettive.

È in questo processo partecipativo che i meme diventano veicoli di senso in continua evoluzione, capaci di adattarsi ai linguaggi e ai codici della cultura digitale. Questa replicazione non è mai neutra: ogni condivisione può introdurre una variazione, rendendo i meme strumenti dinamici di comunicazione collettiva.  Proprio per la possibilità di essere modificati, contestualizzati e personalizzati, rendendoli rilevanti per culture, situazioni e gruppi diversi (Shifman, 2013), i meme si compotano in modo simile ai geni descritti da Dawkins (1976): si evolvono, si ibridano, si trasformano per “sopravvivere” nel tempo e nello spazio digitale.

Un esempio emblematico è il meme del gatto con l’espressione perplessa accanto a un piatto di insalata, noto come Woman Yelling at a Cat. Sebbene non fosse nato come meme, l’immagine del gatto seduto a tavola con uno sguardo confuso è stata reinterpretata migliaia di volte per rappresentare situazioni di incomprensione, ironia o contrasto tra punti di vista. Come mostrato negli esempi nella Figura 2 in basso, il gatto diventa un veicolo culturale: la sua immagine si adatta a contesti sempre nuovi, mantenendo però un nucleo riconoscibile che ne garantisce la replicabilità.

 Figura 2. Fonte a: griffinisland Fonte: businessinsider.com

Ma cosa rende un meme efficace? Cosa ne favorisce la diffusione?

Una risposta risiede nella naturale affinità tra i meme e il nostro cervello. Sono brevi, visivi, spesso ironici: proprio quello che ci resta più facilmente impresso nella memoria.


La teoria del dual coding, proposta da Clark e Paivio (1987), illustrata nella Figura 3, offre una chiave di lettura efficace per comprendere il potere comunicativo dei meme. Secondo questo modello, quando un’informazione viene presentata contemporaneamente in forma verbale (testo) e visiva (immagine), il cervello la elabora attraverso due canali distinti ma complementari. Questo duplice processo aumenta la probabilità che l’informazione venga compresa, memorizzata e richiamata con facilità.

Se a questa combinazione si aggiungono elementi emotivamente coinvolgenti, come l’umorismo, la sorpresa o l’ironia, l’effetto si amplifica ulteriormente: l’attenzione viene catturata in modo quasi automatico e il ricordo si consolida con maggiore forza. Studi più recenti, come quello di Sabato (2019), confermano che l’interazione tra stimoli visivi e affettivi favorisce una memorizzazione più profonda e duratura.

Questo meccanismo si intreccia con alcuni principi chiave dell’economia comportamentale, non tanto in termini di “doppio canale” cognitivo, quanto per il modo in cui i contenuti multimodali riescono a bypassare i processi razionali e a influenzare direttamente il comportamento. I meme, infatti, non si limitano a informare: attivano risposte intuitive, rapide e spesso inconsapevoli, sfruttando la nostra tendenza a reagire a stimoli familiari, visivamente salienti e carichi di significato emotivo. Il dual coding si configura, pertanto, non solo come un  modello di apprendimento, ma un dispositivo cognitivo che potenzia l’efficacia dei messaggi persuasivi, rendendoli più influenti nei processi decisionali quotidiani.

Figura 3. Fonte: ResearchGate

La loro struttura, che combina elementi visivi e testuali, li rende particolarmente efficaci dal punto di vista cognitivo. Attivano simultaneamente più aree del cervello, facilitando la memorizzazione e la comprensione immediata (Dancygier & Vandelanotte, 2017). Ma il loro impatto va ben oltre la forma: i meme svolgono una funzione sociale profonda. Permettono agli utenti di esprimere emozioni, opinioni e identità in modo sintetico e spesso ironico. Condividerli equivale a dire “la penso così” o “questa situazione mi rappresenta”, rafforzando il senso di appartenenza e riconoscimento reciproco all’interno di una comunità.

Meme e multimodalità: la grammatica emotiva e sociale dei meme

Strettamente collegato ai meccanismi cognitvi descritti nel paragrafo precedente entra in gioco la multimodalità. La multimodalità descrive il modo in cui testo, immagini, suoni, gesti e altri elementi si combinano per costruire significato. In un ambiente comunicativo sempre più complesso e interconnesso, questo approccio permette di analizzare come le persone utilizzino simultaneamente diversi canali, verbali e non verbali, per esprimersi. Non si tratta solo di parole o immagini isolate, ma di un intreccio di linguaggi: testo scritto, colori, postura del corpo, movimento, suono, spazio. Ogni elemento contribuisce alla costruzione del messaggio (Spence & Di Stefano, 2022).


I meme rappresentano un esempio perfetto di comunicazione multimodale. Uniscono immagini e testo in modo sintetico ed efficace, stimolando una risposta immediata. Favoriscono un senso di interazione simulata tra gli utenti, creando connessioni emotive e contribuendo alla formazione di vere e proprie comunità online. I meme sono esempi perfetti di comunicazione multimodale: mettono insieme parole, immagini, colori e (a volte) suoni per trasmettere significati con pochi elementi ma di forte impatto (come ad esempio la Figura 4). 

Figura 4. Fonte: Gunshow Comic

Secondo Williams et al. (1996), proprio questa natura multimodale li rende capaci di coinvolgere diversi tipi di utenti, anche in ambienti digitali molto frammentati. La loro forza espressiva non risiede soltanto nei contenuti che veicolano, ma nel modo in cui questi contenuti vengono costruiti: attraverso la combinazione sinergica di linguaggi diversi, visivo, verbale, grafico e, nei formati animati o video, anche sonoro (Bortolotti et al. 2025b). Questa integrazione di codici semiotici consente ai meme di trasmettere significati complessi in modo estremamente sintetico, spesso in pochi secondi. Jenkins et al. (2013), parlando di ‘Spreadable Media’, descrivono i meme come simbolo di una cultura partecipativa, dove il significato non è fisso, ma si costruisce collettivamente attraverso remix, parodie, variazioni.

La multimodalità non è un semplice ornamento estetico, ma uso coordinato di più modalità comunicative che risponde a precise dinamiche cognitive. L’immagine, ad esempio, non serve solo a catturare l’attenzione: fornisce un contesto interpretativo immediato, attiva processi di riconoscimento e stimola una risposta emotiva. Il testo, spesso breve e incisivo, completa o ribalta il significato visivo, giocando con l’ambiguità, l’ironia o la sorpresa. Il colore, la tipografia, la disposizione degli elementi nello spazio contribuiscono ulteriormente a guidare la lettura e a rafforzare l’impatto del messaggio.

Grazie alla loro natura multimodale, i meme invitano alla partecipazione: ogni parte del messaggio può essere rielaborata, reinterpretata e inserita in contesti sempre diversi. Questo li rende non solo oggetti comunicativi, ma veri e propri dispositivi culturali in continua evoluzione, capaci di adattarsi ai contesti più diversi e di riflettere, spesso in modo sorprendentemente preciso, le dinamiche sociali del momento. 

Meme, emozioni e connessioni: il potere relazionale dei meme

Un aspetto particolarmente interessante dei meme è la loro capacità di simulare una forma di interazione sociale, pur essendo contenuti unidirezionali. Anche senza prevedere una risposta diretta, riescono a evocare emozioni, situazioni e reazioni come se si stesse partecipando a una conversazione collettiva. Ogni meme diventa un piccolo atto comunicativo che crea connessione tra chi lo crea, lo condivide e lo riceve.

Le immagini utilizzate, spesso tratte da film, serie TV, cartoni animati o scene di vita quotidiana – offrono un contesto visivo immediato e riconoscibile, che facilita la comprensione del messaggio (Dancygier & Vandelanotte, 2025). Quando queste immagini si combinano con testi capaci di cogliere sfumature emotive o situazioni universali, il risultato è una comunicazione sintetica ma sorprendentemente ricca. In pochi secondi, un meme può trasmettere ironia, frustrazione, sollievo, nostalgia, complicità e molte altre emozioni.


Particolarmente efficaci sono i ‘meme comportamentali’, che mettono in scena micro-situazioni quotidiane in cui è facile riconoscersi. Frasi come “quando cerchi le chiavi e sono in tasca da un’ora” o “quando fingi di non vedere qualcuno per evitare una conversazione” non sono solo battute: sono frammenti di realtà condivisa, condensati in un formato visivo-testuale che stimola immediatamente l’identificazione.


Questi contenuti funzionano come specchi culturali: riflettono abitudini, tic, imbarazzi e automatismi che accomunano persone molto diverse, generando un senso di familiarità e complicità. È in questo contesto che nasce l’ironia collettiva di espressioni come “I’ve never had an original experience”, che esprime quel paradossale sollievo nel sapere che anche le esperienze più assurde o imbarazzanti sono condivise da altri.

L’uso di immagini di animali, in particolare gatti con espressioni esagerate o atteggiamenti “umanizzati”, amplifica ulteriormente l’effetto empatico. Il gatto che guarda nel vuoto con aria confusa o quello rannicchiato in una scatola troppo piccola diventano simboli visivi universali per rappresentare stati d’animo come la distrazione, l’ansia sociale o il bisogno di comfort. Le emozioni sono la chiave della viralità dei meme. Quando ci fanno ridere, riflettere o commuovere, siamo più inclini a condividerli (Ling et al., 2021). Non si tratta solo di intrattenimento: i meme rispondono a bisogni emotivi reali, aiutandoci a esprimere ciò che proviamo, a sentirci parte di un gruppo e ad alleggerire la quotidianità (Lee et al., 2019). 

Un formato particolarmente efficace è quello dei meme “POV” (Point of View), che simulano esperienze personali attraverso una narrazione in prima persona (Figura 5). Questo tipo di contenuto rafforza ulteriormente l’identificazione, trasformando il meme in una sorta di diario collettivo in cui ognuno può riconoscersi. Questi meme immergono il pubblico in scenari familiari o ironici, facilitando l’identificazione e la condivisione emotiva. La loro struttura narrativa consente di rappresentare situazioni quotidiane o emozioni comuni, creando un senso di connessione e appartenenza tra gli utenti. Quando raccontano una storia o rappresentano una situazione comune, ci coinvolgono a livello personale, creando una vera e propria immersione narrativa (Dancygier & Vandelanotte, 2025).

Figura 5. Fonte: w0lfbr0ther69

Le emozioni positive, come gioia o divertimento, migliorano anche la percezione del brand e la fidelizzazione (Kim & Kim, 2024). L’umorismo, in particolare, è un catalizzatore potente: gioca con le aspettative, sorprende, crea empatia. 

Secondo la teoria della contagiosità emotiva (Hatfield, Cacioppo, & Rapson, 1994),  le emozioni si trasmettono da persona a persona in modo rapido e spesso inconsapevole, attraverso meccanismi automatici come l’imitazione di espressioni facciali, il tono della voce o la postura. Questo fenomeno, profondamente radicato nella nostra biologia sociale, spiega perché osservare qualcuno che ride, si commuove o si indigna può attivare in noi una risposta emotiva analoga.


In questo contesto, i meme si rivelano strumenti estremamente efficaci per innescare e diffondere emozioni. La loro forma visiva e immediata, unita alla facilità con cui possono essere condivisi, li rende veicoli perfetti per attivare risonanze emotive collettive, stimolando un senso di connessione più profondo e autentico.

Il meme è servito: strategie di comunicazione virale nel marketing

I meme, con la loro capacità di diventare virali, rappresentano uno strumento potente per il marketing (Williams, 2000). Raggiungono un pubblico ampio in poco tempo e generano coinvolgimento quasi spontaneo (Malodia et al., 2022).
Non solo fanno ridere o riflettere, ma possono aumentare la visibilità dei brand, migliorare la memorabilità del messaggio e creare una comunicazione più autentica (Razzaq et al., 2023).
Un esempio emblematico è rappresentato da Netflix, che ha saputo integrare i meme nella propria strategia di comunicazione per rafforzare il legame con la propria audience, soprattutto tra i più giovani. La piattaforma ha adottato un approccio distintivo, trasformando i propri canali social in spazi di dialogo creativo con gli utenti.

Attraverso account locali come @NetflixIT, condivide regolarmente meme e contenuti umoristici ispirati alle sue produzioni o a contenuti appena caricati sulla piattaforma, incoraggiando la partecipazione attiva del pubblico e stimolando la creazione di contenuti generati dagli utenti.
NetflixIT ha sfruttato un trend intramontabile sui social media (associare ai mesi di nascita dei contenuti che potrebbero rispecchiare caratteristiche peculiari attribuibili a ciascuno di essi, mostrato in Figura 6) per sottolineare all’utenza che uno specifico cartone animato era fruibile sulla piattaforma, utilizzando frame e personaggi appartenenti al contenuto stesso.

Figura 6. Fonte: instagram

Tuttavia, bisogna fare attenzione: capire i contesti culturali dei meme è fondamentale. Un uso superficiale o fuori luogo può avere l’effetto opposto, risultando forzato o addirittura dannoso per l’immagine aziendale (Chuah et al., 2020).
Nel 2017, il brand di cosmetici americano Tarte Cosmetics ha pubblicato su Instagram un meme contenente un’espressione razzista rivolta alla comunità asiatica. Il post, che mostrava un confronto tra “il mio cervello durante il giorno” e “il mio cervello di notte”, includeva il termine offensivo “ching chong” (termine razzista), suscitando subito forti critiche online.

Inizialmente, l’azienda ha attribuito l’errore a un dipendente inesperto, ma dopo la crescente indignazione la CEO ha assunto personalmente la responsabilità, scusandosi pubblicamente e riconoscendo che non c’è mai giustificazione per l’uso di linguaggi offensivi, nemmeno nei meme.
L’episodio ha acceso un dibattito importante sull’importanza di una comunicazione rispettosa e consapevole, ricordando che i meme, pur essendo uno strumento potente per connettersi con il pubblico, possono facilmente diventare dannosi se usati senza attenzione culturale e sensibilità (Figura 7).

Figura 7: Fonte: iHaveATractorinMyAss

Se gestiti bene, invece, i meme permettono di costruire un legame profondo con il pubblico, fatto non solo di prodotti, ma anche di emozioni e valori condivisi (Shifman, 2013).

I meme funzionano anche come strumenti di comunicazione pubblica e di massa, capaci di trasmettere messaggi rilevanti in tempi brevissimi (Agrawal et al., 2024). Durante la pandemia, ad esempio, sono stati utilizzati per informare e sensibilizzare in modo efficace e accessibile (Kostygina et al., 2020; Murru & Vicari, 2023), successivamente diventati un meme in Italia come il Meme di Barbard D’Urso che spiega come lavarsi le mani (Figura 8). 

Figura 8. Fonte: Highlander DJ ITA

Conclusioni

I meme sono a tutti gli effetti dei protagonisti della comunicazione digitale. Non solo fanno parte della cultura contemporanea, ma hanno anche un impatto diretto su percezioni, decisioni e comportamenti (Kamath & Alur, 2025). Capire come funzionano , dal punto di vista emotivo, cognitivo, sociale è oggi fondamentale per chi si occupa di comunicazione.
Il loro potenziale è enorme: dalla costruzione di comunità alla diffusione virale di idee.  Ma per utilizzare davvero questa forza comunicativa, serve consapevolezza.

Perché dietro ogni meme non c’è solo una battuta ben riuscita: c’è una scelta narrativa, un’emozione evocata, un messaggio implicito. C’è un’intenzione, anche quando non è esplicitamente dichiarata. Un meme può essere uno strumento di critica sociale, un atto di resistenza culturale, una forma di autoironia o un modo per normalizzare esperienze marginali. Ogni volta che lo condividiamo, stiamo partecipando a una conversazione collettiva, contribuendo a modellare il modo in cui vediamo il mondo e ci relazioniamo agli altri. In un mondo sempre più frammentato e veloce, i meme offrono un modo per ritrovare connessioni, per raccontare con leggerezza, ma anche con profondità.
E forse è proprio questa la loro forza più grande: riuscire a dire tanto, con pochissimo.


✅ Revisione a cura di: Roberta De Cicco, Francesca Bellante, Serena Iacobucci
✅ Editing a cura di: Sara Ferracci

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Autori e Autrici

Alessandro Bortolotti è psicologo e PhD in Business & Behavioral Sciences. Esperto in processi cognitivi, Alessandro si occupa di sviluppare un progetto di ricerca sulla percezione del colore nel marketing e nelle decisioni d’acquisto.


Eugenia Antonellis è laureata in Psicologia Clinica e attualmente dottoranda in Business & Behavioral Sciences. La sua attività si concentra sul benessere organizzativo, con particolare attenzione ai suoi determinanti e ai suoi effetti.

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